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Draghi al Quirinale o a Bruxelles: non ha senso restare a Palazzo Chigi

Giuliano Ferrara

Il grosso è impostato,  e un maresciallo d’Europa di estrema affidabilità non sta lì a lasciarsi consumare dalle campagne elettorali, dal ritorno del gioco dei partiti. Il suo percorso politico ha una destinazione finale obbligata

Non credo che Draghi lascerà imbrodare la missione che ha incarnato e di cui è tuttora araldo e depositario, come e anche meglio del venerato predecessore, quello che ci chiuse in casa per tempo e trovò i soldi europei necessari per noi. Lo trattano come un “dono”, Salvini dice che non vuole donarlo al Pd, e viceversa, e intanto serpeggia un’opposizione di destra e di sinistra, in perfetta convergenza, che si batte contro il liberticidio, l’uomo solo al comando, il pensiero unico, il green pass e altre bellurie. Le ovazioni di Confindustria, poi, non è che portino bene. L’overstretching di Draghi, di qui all’eternità, è un modo per ridurne in poltiglia anche l’eredità, uno dei tanti modi politico-mediatici di infilzare allo spiedo anche la carne pregiata dei tordi, figuriamoci uno sparviero come il caro Mario.

L’uomo, ne sono certo, conosce il proprio limite come il limite di sistema del paese Italia. O va al Quirinale, dove sarebbe il garante perfetto dei sei anni di vigenza della ricostruzione ben finanziata, quale che sia il sottostante governo esecutivo, o va a Città della Pieve, dove tutti sarebbero disposti a rimpiangerlo e evocarlo, o va a Bruxelles in un’epoca postmerkeliana in cui un politico competente, e anche un po’ mago, potrebbe supplire alle défaillance dell’asse franco-tedesco in tempi tumultuosi. Ma a Palazzo Chigi non ha alcun senso restare. Il grosso è impostato, le cose da fare riguardano l’intendenza, e un generale o maresciallo d’Europa di estrema affidabilità, splendidamente intelligente, di successo, non sta lì a lasciarsi consumare dalle campagne elettorali, dal ritorno del gioco dei partiti, che ora lo trattano come un regalino natalizio, gli si sottomettono con vera cupidigia di servilismo, e subito dopo sono ben disposti a considerarlo un peso, per non parlare dei difensori della democrazia e della libertà, fascisti canforiani e comunisti barberiani riuniti nell’armata di Brancaleone Agamben.

 

I libbberali poi sottovalutano l’uomo se pensano che voglia animare il partito di Draghi, cioè che voglia fare un pezzo significativo di strada con le loro esigue truppe, ma via, è ridicolo. Nel ruolo di capo dello stato Draghi si confermerebbe un potente d’Italia e d’Europa, e intorno al simbolo e alla sua prassi e esternazione potrebbe coagularsi forse un fronte ampio per la modifica della Costituzione, riprovando dove tutti hanno fallito con il de Gaulle effettuale, invece che con gli azzeccagarbugli ineffettuali. Certo bisogna evitare di farne una chiacchiera, i voti devono saltare fuori dal famoso bussolotto massonico-savoiardo in cui si decide chi è il numero uno senza riguardo per altro che non un curriculum e i discorsi del corridoio. Ma se Dio vuole, una tantum, il percorso politico di una figura internazionale che si è identificata con stato, nazione e Europa ha la sua destinazione finale obbligata nell’elezione a primo magistrato della Repubblica.

       

Con Napolitano e poi con Mattarella, personalità tanto diverse, un parlamento esausto nelle mani dei magistrati ordinari, partiti vili che non hanno saputo districarsi nell’infame trentennio del giustizialismo spinto, politici e comici affetti da palese analfabetismo demagogico, tutti hanno visto ridursi e di molto il loro potere di incidenza su una politica che alla fine, ed è un bene supremo, si fa a Parigi e a Berlino, con la mediazione di Bruxelles. E vogliamo lasciarci sfuggire la grande occasione?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.