Il profilo

Catello "il bello". Ritratto di Maresca, il pm ammuina che vuole Napoli

Un altro magistrato: si comincia timbrando fascicoli e si finisce siglando delibere.

Carmelo Caruso

Dice tutto e il contrario di tutto. Sta con la destra ma parla come uno di sinistra. Sarebbe il candidato di Salvini e Berlusconi sotto il Vesuvio anche se ripete che lui è civico. Documentari, libri. Ecco chi è il magistrato che corre a Napoli

E’ il candidato “io dei partiti me ne fotto”, ma è anche la toga “non volevo dire questo”, il super magistrato “avete interpretato male”, l’autore promessa “un giorno scriverò la mia agenda rossa”. Corre a Napoli come sindaco ma non si capisce se Catello Maresca voglia farlo per la destra, per il centro o per la sinistra con cui avrebbe potuto perfino presentarsi perché “io dialogo con chiunque”. In pratica fa politica. Ma per chi? I partiti di centrodestra sono pronti a sostenerlo ma lui continua a fare il sostenuto. Insegue il tutto. E’ refrattario alle liste di partito perché “ho già la mia”. Preferirebbe non avere simboli accanto al suo nome perché “io non sono il candidato di Roma”. Il simbolo è lui. La sua idea è il nuovo Vesuvio pittoresco: “Venite con me ma non vi voglio. Seguitemi ma non vi cerco”. Ripete infatti che è “civico” e nelle interviste che finora ha rilasciato ha sempre spiegato che “la gente non mi chiede il colore” e che evidentemente Lega-Forza Italia e Fdi non hanno ancora afferrato la portata rivoluzionaria del progetto. Al sud è la parola “rivoluzione” che andrebbe davvero combattuta come si è fatto con la malaria. Ha perfino teorizzato “l’approccio ideologico del civico perché il civico deve avere un’ideologia e la mia ideologia si chiama Napoli”.

 

Maresca non è Luigi De Magistris anche se queste frasi ricordano (ma è solo assonanza) il lessico del sindaco “scasso tutto”, la fascia tricolore che si vanta di avere sul tavolo più foto di “Che Guevara che di Sergio Mattarella”. E’ impossibile da credere ma si è verificato anche questo: ad ammonire Maresca è stato il sindaco bandana, il fuoriuscito in trasferta che sogna adesso di fare il presidente della regione Calabria. In un momento di estrema lucidità gli ha chiesto (non è uno scherzo) il rispetto delle forme: “Basta fare un po’ il magistrato e un po’ il candidato. Adesso deve scegliere”. E’ come se Orban chiedesse il rispetto dei diritti umani. Scegliere? Maresca ha già promesso che se perde le elezioni è disposto a fare il consigliere comunale e “opposizione costruttiva” ma ha anche annunciato che vorrebbe concludere la sua carriera in Sicilia, da pm, “per provare ad arrestare Matteo Messina Denaro. Ovviamente spero che l’arrestino prima”.


E’ entrato in magistratura a 27 anni. La sua prima sede è stata Torre Annunziata (“Mi occupavo di crimini finanziari”). Successivamente è stato trasferito a Napoli. Procuratore capo era Agostino Cordova. Ha ricordato che il loro primo incontro si è consumato “avvolto da una nuvola di fumo” e che l’inizio è stato il suo piccolo trauma: “Mi parlò sbiascicando qualcosa che non riuscii a capire. Non ebbi il coraggio di chiedergli di ripetere”. Da allora è entrato a far parte della Dda. Auto blindata, vita blindata, casa blindata, la scorta che lo blinda: cinque uomini giorno e notte. Ha proseguito la sua carriera fino alla nomina di sostituto procuratore generale. Il centrodestra aveva già provato a candidarlo alle scorse elezioni regionali salvo infine indicare Stefano Caldoro. Prima che Maresca sciogliesse la riserva (rimangono ancora, e purtroppo, i magistrati i riservisti degli onorevoli) sono passati mesi. Prima di chiedere al Csm il collocamento in aspettativa ci ha riflettuto così tanto da arrivare a ridosso delle elezioni da magistrato in funzione. Come ha fatto? Semplice. Con “l’ammuina” che è qualcosa che nel meridione vale più dell’intera opera di Gramsci, del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein.

 

Prendeva tempo ma non confermava. Quando confermava il giorno dopo smentiva. E poi smentiva la smentita. Si è fatto luglio. In una parola è il possibile sindaco “capitone”, il pesce anguilla che saltella per non finire nella rete anche perché Maresca è esperto di retate. E’ nato a Portici, 49 anni fa, (“vengo dalla provincia e mi piace ritornarci”). Ha frequentato il liceo classico Quinto Orazio Flacco e apparteneva “alla categoria dei secchioni”. Da ragazzo ha vissuto l’esperienza del bullismo (“si chiamava Pippone, era grande e grosso”). Dice che a quattordici anni voleva già fare il pm e rivelato che giocava a calcio meglio del centrocampista Locatelli: “L’allenatore mi vedeva in campo da professionista. I presupposti c’erano tutti. Mi allenavo tre volte a settimana. Allenamenti durissimi”.


Di sicuro tifa Napoli e lo vuole fare sapere in tutti i modi. Partecipa alle trasmissioni fuoco e pallone delle televisioni locali senza escludere le radio, ed è cosi tifoso da aver chiesto “un risarcimento per il mancato scudetto del 2018-2019”. Il motivo? “L’espulsione che non c’è stata del calciatore Pjanic, durante la partita Inter-Juventus”. A suo giudizio (da tifoso o da magistrato?) avrebbe danneggiato i tifosi del Napoli che “vanno risarciti. Bisogna studiare il metodo per riuscirci”. Da anni ragiona sulla “enorme questione morale del calcio che neppure la Var è riuscita a risolvere. Non si capisce perché non si possono ascoltare le conversazioni tra arbitro e Var”. Nel suo ufficio della Dda ha tenuto come cimelio la maglia del calciatore Higuan autografata per il figlio: “Para Giovanni con afeito”. I colleghi di procura lo chiamano “o’ maresciallo”. Ha ereditato la stanza che è stata per anni di Raffaele Cantone prima di andare all’Anac. E ha ereditato anche i suoi quadri, tempere e oli, così come la sua segretaria Rosaria, “un esempio di pazienza e laboriosità”. Su Maresca esiste perfino un documentario dal titolo “Il giorno del giudizio. Come ho catturato l’ultimo dei casalesi” prodotto da Discovery (due ore e 8 minuti suddivisi in due episodi). Ha scritto finora 4 libri e quasi tutti raccontano l’inchiesta e l’arresto del boss Michele Zagaria che è il suo successo più grande (“Mi è costata dieci anni della mia vita. Ne sono uscito cambiato nel volto”).

 


Lo appassionano i cunicoli, ed è attento al sottosuolo perché, pensa Maresca, è il miglior modo per comprendere il fenomeno mafioso: “Tutti i boss abitano sottoterra, sottotraccia, parlano con il sottotesto, utilizzano un soprannome. La mafia si nasconde e si maschera nell’opposto. Napoli è una città che muore di doppiezza”. Due di questi suoi libri hanno nel titolo la parola “male”. “Le radici del male” e ancora “Malecapitale”. Un altro è “L’ultimo bunker” ed è a doppia firma con Francesco Neri. Ancora uno. Si tratta de “Il presepe napoletano” ed è senza dubbio quello più curioso perché è un saggio sulla sua passione-segreto, il “su questo argomento io so tutto”. E’ un collezionista di arte presepiale. E’ figlio di insegnanti. Suo padre, Giovanni, professore di filosofia, è stato l’uomo fatale: “Mi ha detto: scegli, o il codice penale o gli spogliatoi degli stadi”. In una di quelle interviste “adesso vi dico chi sono”, una preziosa intervista del Mattino, Maresca ha confessato che “con grande amarezza, non mi restò altro da fare che prendere la borsa di calcio, e tutte le maglie di cui andavo tanto fiero, e riconsegnarle al mister: la mia carriera sportiva finiva lì”.


Si è sposato due volte e separato una. La prima moglie è un avvocato. La moglie di oggi è una collega, Fabrizia Fiore, figlia di una famiglia di industriali campani. Ha 4 figli ma che fanno “quattro e mezzo insieme a quelli della mia compagna”.


 Il suo vero maestro è l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che oggi è europarlamentare del Pd ma prima ancora assessore regionale alla sicurezza di Vincenzo De Luca. E non vuole dire nulla ma può volere dire tutto. Può volere dire, come si è detto, che Maresca è la magistratura gender fluid, la sinistra e la destra come idee gassose. Ha dichiarato di non ricordare chi ha votato alle ultime elezioni come quei protagonisti dei romanzi di Anatole France che perdono la memoria. A 21 anni è stato eletto consigliere comunale a San Giorgio a Cremano, ma nello stesso comune è stato assessore e sempre con Alleanza Democratica, una di quelle piccole palafitte di centrosinistra, le belle utopie destinate sempre a sciogliersi al sole nel giro di due legislature. Era un’unione di progressisti che aveva l’ambizione di tenere insieme Pietro Scoppola, Mario Segni, Giovanna Melandri, Ferdinando Adornato, Giuseppe Ayala e Willer Bordon. E’ stata la sua prima e unica esperienza politica. Il grande amico, “compagno” di Maresca, si chiama invece Rosario Bianco, studioso delle tradizioni locali, editore che si è inventato la Giapeto edizioni, Rogiosi Editore, ma soprattutto cofondatore del vero partito (che non è un partito) di Maresca. E’ l’associazione chiamata “Arti e Mestieri”. Si occupa di giovani che toglie dalla strada: tanta solidarietà, corsi di falegnameria, restauro, ceramica, maestri pizzaioli. E’ una specie di Acli di via San Gregorio Armeno (dove c’era la sede). E se si usa come paragone l’Acli è perché, la sua adesione, è un’altra tessera del Maresca young quando non era ancora il “magistrato più amato dai documentaristi”. Una volta, ed erano gli anni di Gomorra, successo planetario (libro, film, serie) rispose che lui, senza nulla togliere, preferiva leggere i saggi storici di Gigi Di Fiore anziché la “non fiction novel” di Roberto Saviano. La prima ad accorgersi di lui, a destra, è stata Mara Carfagna. Lo ha invitato più volte a partecipare ai convegni di Voce Libera, il suo think thank. Matteo Salvini se ne è innamorato solo l’anno scorso. Ha ricevuto da parte di Maresca un “lo ringrazio per gli apprezzamenti”. Non è altezzosità ma napoletanità. Giorgia Meloni, che non sopporta questo suo stare di sopra (altri ci vedono un’ulteriore occasione per fare uno sgarbo alla Lega) si è detta pronta a fare un suo nome alternativa per guidare Napoli. Si tratta di Sergio Rastrelli, figlio dell’ex presidente della regione Campania.


Un capoverso lo merita il rapporto Maresca-Berlusconi che è una dimostrazione “volevo dire e non dire” di questo magistrato. Ha detto (intervistato da Klaus Davi) che Berlusconi “è un grande imprenditore e credo che il paese abbia ancora bisogno di una persona come lui in prima linea”. Ha lasciato intendere che, a suo parere, da costituzionalista convinto, “Berlusconi ha subito solo una condanna in merito alla quale, tra l’altro, la Corte Europea, ha chiesto chiarimenti”. Si sono sentiti qualche volta “al telefono ma “di recente meno a causa dei problemi di salute del presidente a cui non posso fare i miei auguri”. La verità è che Maresca non vuole lasciarsi accompagnare in strada dai campioni del consenso di Forza Italia, i vari “Gigino a Purpetta” (Luigi Cesaro), Domenico De Siano, perché “io non posso sporcare la mia carriera da magistrato”. Nelle sue liste c’è la giornalista antimafia Giuliana Covella. Può contare sull’adesione di Vittorio Ciotola, vicepresidente di Confindustria Giovani (suo cognato), sullo scienziato Luigi Verolino che ha lavorato al Cern. La sua forza sta nella capacità di tenere insieme borghesia e miseria, giustizia e bar sport, fare l’uomo di legge (“il mio modello è il sindaco Rudolph Giuliani”) ma sfidare la sinistra sull’abusivismo di necessità chiedendo la “sospensione degli abbattimenti perché lo stato non può essere aggressivo in questo momento”. E non significa che lui non sappia quando esserlo. Esempi: il “me ne fotto dei partiti” che ha sorpreso tutti; Gaetano Manfredi, l’avversario perbene, professore, ex rettore della Federico II, ex ministro dell’Università, ridotto a “un ingegnere di Nola”; il patto di Napoli del Pd e M5s trasformato ne “è il pacco per Napoli”.


Alterna momenti da “pezz’ ‘e core” come questo: “Quando ho deciso di candidarmi, ho come sentito uno scatto nel petto, le famose farfalle”. Ma si colora di internazionalità con “vedo Napoli e penso ad Amburgo e Valencia e mi chiedo cosa abbiamo di meno”. Dicono che il suo “di più” sia la barba che si lascia crescere stretta e nera (“per fare economia del tempo”) e che poi improvvisamente rade. E ha come “di più” questo blasone da investigatore tenace che è il rovescio della “malanapoli” ma, a pensarci, una faccia del guasto di Napoli. E’, non a caso, il pm superlativo, il titano che ha catturato l’ultimo dei capi (ma quanti sono gli ultimi?) l’architetto toga che ha studiato il bunker impenetrabile fino a scoperchiarlo. Maresca è la spia di una novità. E’ una novità che aggiorna il catalogo vasto dei pm fulminati dall’impegno. Vogliono il sigillo delle urne che è lo stadio finale del magistrato: si comincia timbrando fascicoli e si finisce siglando delibere. Non è sudamericano come De Magistris, ossuto come Davigo. Maresca è più complesso. Sembra uscito dai mari di Salgari e invece è sempre e solo “oro di Napoli”. E’ legge e accomodamento. Smemorato e matematico. Interpreta Napoli come nessuno. Rappresenta al meglio la sua furbizia corsara che qui, in questa città, è un neologismo speciale. Maresca è il pm cazzimma.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio