Euro 2020, ci mancava la geopolitica del pallone

Valerio Valentini

Wembley nega alla Figc 30 biglietti in più ("Siamo alle ritorsioni"). Ceferin sospettato di voler sostenere Orbán per poi candidarsi in Slovenia. I sospetti inglesi sull'asse Draghi-Merkel contro BoJo. Così gli Europei si sono trasformati in un mezzo intrigo internazionale. O forse no

I più smaliziati, alla favola bella della fraternité européenne, del torneo itinerante per celebrare i 60 anni della manifestazione, fin dall’inizio avevano creduto ben poco. Ché dietro alla retorica dell’embrassons nous per Euro 2020 c’avevano anzi visto la perfida genialità di Michel Platini, che distribuendo le partite tra 11 paesi diversi, anziché accontentarne uno per inimicarsi tutti gli altri, nel 2013 seppe ingraziarsi i suoi elettori per ottenere di lì a due anni la riconferma alla guida dell’Uefa. Ma forse neppure questa fonda di disillusi avrebbe immaginato che si sarebbe finiti così, con un clima di sospetto e di tensioni diplomatiche  che neppure Intrigo internazionale. E così quando ieri, dagli uffici della Figc, si sono visti negare dal comitato organizzativo di Wembley un carnet di  30 pass aggiuntivi per membri dello staff e autorità al seguito della Nazionale in vista degli ottavi di sabato,  hanno sgranato gli occhi: “Siamo alle ritorsioni”.

 

Del resto a Downing Street la psicosi da accerchiamento è partita. La difesa della finale a Londra è l’ultima frontiera dell’orgoglio brexitaro: dopo lo smacco di Bruxelles su AstraZeneca, sugli Europei non indietreggiamo. Tanto più che a insidiare i pronipoti di Churchill è proprio quel popolo che, secondo loro, perde le partite di calcio come se fossero guerre, e viceversa.

 

Perciò, quando lunedì pomeriggio Mario Draghi ha acceso la miccia,  sulle prime si è pensato che perfino lui, centellinatore seriale di sospiri nei sette anni alla Bce, si fosse lasciato andare a un eccesso di baldanza contro la perfida Albione. Ma quando l’indomani Angela Merkel aveva rilanciato la candidatura di Monaco per la finale, ecco che la trama ordita alle spalle di Boris Johnson s’è d’incanto rivelata agli occhi degli inglesi: “I due giocano di sponda per scipparci lo show”. D’altronde sanno che in parecchi, in giro per l’Europa, consultano ormai ogni giorno il bollettino dei contagi in Gran Bretagna. E ieri, quando la variante indiana ha fatto registrare 16.000 nuovi casi, ecco che nel giro degli addetti ai lavori romani è partito, sia pur sommesso, il coro: “Bye bye, Wembley”.

 

E insomma all’enfasi dei buoni sentimenti di “Euro for Europe” è subentrata quella della “geopolitica degli Europei”, visto che quella dei vaccini ormai tira poco. E ci mancava  la faccenda degli stadi colorati. Col sindaco di Monaco, il presunto beneficiario del presunto scippo, che lancia l’idea della bandiera arcobaleno per l’Allianz Arena, uno schiaffone  al Parlamento di Budapest che nel frattempo approva l’ennesima legge dal vago sapore omofobo, e il presidente dell’Uefa, lo sloveno Aleksander Ceferin, che s’affretta a bloccare l’iniziativa. “Perché è un amico di Orbán”, c’è chi ha subito protestato. Lui, che di questa formula di torneo itinerante ha sempre dichiarato di pensare tutto il male possibile, s’è difeso: “Chiedo solo che non si usi il calcio per fini politici”. Peccato che a Lubiana ci sia già chi vagheggia di una sua imminente discesa in campo, nel senso appunto della politica. Con 17 giorni ancora da trascorrere prima di arrivare alla finale, può ancora scapparci la guerra.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.