Non ci sono i gazebo ma attenti alle primarie tra Meloni e Salvini

Claudio Cerasa

È una competizione nuova, il cui scopo ultimo è interpretare al meglio la  stagione della post impresentabilità. Come? Mostrandosi più vicini all’agenda Draghi di quanto non lo sia il centrosinistra 

L’attenzione di molti osservatori oggi, come è normale che sia, sarà rivolta al risultato delle primarie del Pd celebrate nella giornata di ieri con fortune alterne sia a Bologna sia a Roma. Le primarie democratiche, per quanto imperfette, per quanto traballanti, per quanto trasformate dagli apparati del Pd in uno strumento utile più a ratificare che a decidere, restano uno degli strumenti maggiormente innovativi introdotti nella stagione della così detta Seconda Repubblica. Eppure, nonostante i gazebo facciano parte esclusivamente del patrimonio genetico del centrosinistra, le primarie più interessanti che si stanno svolgendo in questo momento in Italia non si trovano a sinistra ma si trovano a destra, dove la competizione tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sta trasformando nel fatto politico più appassionante di questa stagione politica. Quelle tra Salvini e Meloni non sono formalmente primarie, non ci sono gazebo in vista, ma di fatto il leader della Lega e il leader di Fratelli d’Italia si muovono ormai da mesi come se fossero al centro di una grande competizione che Silvio Berlusconi probabilmente definirebbe molto simile a un “quid factor”.

 

La gara tra Salvini e Meloni non è dunque solo tra chi dei due ha il sondaggio migliore (i sondaggi spesso non fotografano la realtà ma la realtà fotografata dai sondaggi è quella che di solito indica quale leader della coalizione ha l’ultima parola sulle scelte che pesano) ma è, almeno in questa fase, una competizione del tutto nuova, che vede i due leader impegnati in una battaglia il cui scopo ultimo è interpretare al meglio la nuova stagione della post impresentabilità. E’ vero. La lotta tra Salvini e Meloni è spesso una lotta schizofrenica in quanto vede i due leader interessati a offrire spesso e volentieri messaggi in totale e perenne contraddizione tra loro (si può lavorare alla stagione della post impresentabilità nello stesso istante in cui in Europa, con la Lega che tresca con l’AfD e la Meloni che si intende con Orbán, si fa a gara a rappresentare i meno presentabili tra i partiti europei?). Ma se si sta a quel che succede in Italia, si noterà che, immigrazione a parte, non c’è una sola mossa di Meloni e Salvini che non sia dettata dalla volontà di fare quello che il Pd e il M5s oggi sembrano avere poca intenzione di fare: provare, quantomeno dal punto di vista mediatico, a dettare l’agenda al governo Draghi (il Pd, viceversa, sembra essere interessato a dimostrare che Palazzo Chigi è un covo di pericolosissimi e dannati liberisti). Succede così che sulla riforma della giustizia la battaglia tra Meloni e Salvini sia dettata non dalla volontà di esibire con più veemenza degli altri un qualche cappio in Parlamento ma dalla volontà di mostrarsi come i garanti più affidabili nella lotta contro la magistratura impazzita (salvo poi ritrovarsi a sostenere entrambi, a proposito di giustizia un po’ impazzita, un magistrato come candidato sindaco a Napoli e un altro magistrato come candidato prosindaco a Roma). Succede così che nella gara a intestarsi il progressivo ritorno alla normalità post pandemica (basta coprifuoco, basta ristoranti solo all’aperto, basta mascherine, più libertà alle imprese e chissenefrega delle varianti) il centrodestra di Meloni e di Salvini sia più vicino all’agenda Draghi di quanto non lo sia il centrosinistra di Letta e Conte. Succede così che nella lotta contro il partito unico delle tasse (imprese, ceti medi: venite a noi) il centrodestra di Meloni e di Salvini sia più vicino all’agenda Draghi di quanto non lo sia il centrosinistra versione Enrico Letta (il risultato della proposta lanciata dal Pd sul tema dell’aggravio delle tasse di successione è stato quello di aver offerto a tutti gli altri partiti presenti in Parlamento la possibilità di distinguersi dal partito delle tasse, ovvero il Pd). E succede così che rispetto alla svolta anti cinese del G7 la voglia di Meloni e di Salvini di distinguersi dal Movimento 5 stelle (e dalla sua gloriosa stagione del Memorandum di intesa con la Cina) sia stata così forte da aver spinto il leader della Lega e quello di Fratelli d’Italia a trasformare il cambiamento del G7 in un proprio successo personale (siamo noi / siamo noi / i campioni anti cinesi siamo noi). E succede così, ma si potrebbe andare avanti per ore, che nella storia della federazione del centrodestra, ovverosia del possibile patto d’acciaio tra Forza Italia e Lega, vi sia da parte di Salvini e da parte di Meloni la tentazione di usare questa mossa per dimostrare che i veri fascisti, i veri populisti, in fondo sono gli altri: lo pensa la Lega, che il partito unico con Forza Italia lo vuole costruire anche per ricordare che gli estremisti e gli irresponsabili oggi sono quelli che non stanno al governo; e lo pensa anche Fratelli d’Italia, per il quale la nascita del partito unico Lega-Forza Italia potrebbe essere un’occasione per offrire una scialuppa di salvataggio ai moderati di Forza Italia che non vogliono morire salviniani. Le primarie invisibili ma reali tra Meloni e Salvini offrono anche spunti di divertimento assoluto – il tentativo di Salvini di cancellare tutto ciò che ha fatto il governo gialloverde, dalla prescrizione al Memorandum con la Cina, passando per il reddito di cittadinanza, è lì a ricordarci quanti danni possa fare la Lega quando si trova al governo senza essere commissariata; e d’altra parte, il tentativo di Giorgia Meloni di dimostrare, ogni volta che le è possibile, quanto sia impresentabile il suo alleato nel centrodestra è un’immagine che trasmette un tasso di litigiosità degno della stagione dell’Unione prodiana – ma sono probabilmente il fatto politico più interessante di questi mesi. Un fatto che potrebbe avere anche dei riflessi importanti quando si andrà ad aprire la partita del Quirinale. E se è vero, come ripetono oggi Meloni e Salvini, che il candidato del centrodestra per il Quirinale è Mario Draghi, sarà interessante capire fino a che punto la vecchia maggioranza rossogialla sarà disposta a trasformare Draghi in quello che non è: una grande bandiera del centrodestra. Le altre primarie sono aperte: ci sarà da divertirsi.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.