Sui costumi degli italiani

Il nostro miracolo e il nostro solito casino

"Ci piace tremendamente dannare l'uno e idoleggiare l'altro, a parti scambievoli a seconda del pregiudizio fazioso"

Giuliano Ferrara

Faziosi, intrattabili, sempre squilibrati nel giudizio sulle cose che contano, vedi la discussione prima sugli errori di Arcuri e poi sui fallimenti di Figliuolo. Ma il sistema politico e istituzionale ci ha salvato

Questa mezza discussione demenziale, prima sugli errori di Arcuri e poi sui fallimenti di Figliuolo, i due commissari al fronte organizzativo della pande-
mia, ci mostra come in fondo ci sappiamo: faziosi, intrattabili, bugiardi costituzionali, sempre sovranamente squilibrati nel giudizio sulle cose che contano. Abbiamo altre qualità, sennò non saremmo il paese più dolce e spiritoso del mondo. Questi difetti ce li dobbiamo riconoscere, e ce li riconosciamo, in effetti.

 

Arcuri è un manager che ha lavorato in un governo politico, Figliuolo un generale degli Alpini che sta lavorando in un governo di unità nazionale in cui l’istituzionale prevale sul politico in senso tradizionale. Entrambi hanno fatto il loro lavoro. Errori, certo, e successi. Buona visione, attivismo, mano ferma, qualche errore di valutazione e pratico.

 

Noi ci raccontiamo la favola di un cattivo amministratore della guerra alla pandemia e di uno miracoloso, capace di performance eccezionali, oppure a ranghi rovesciati rimpiangiamo il politico litigioso e burbero di ieri in dispregio del militare un po’ fanfarone di oggi. Uno ci avrebbe dato affanni e ritardi nella campagna di immunizzazione di massa, l’altro il pasticcio degli open day, le somministrazioni come va va, “il primo che passa”, di un vaccino come AstraZeneca al quale si attribuisce un grado eccessivo di pericolosità statistica quando offerto a persone giovani.

 

Sono due balle, come tutti in cuor loro sanno. Con Arcuri c’era mancanza di prodotto, scarsità di fiale, eppure la nostra performance era a ottimi livelli, con Figliuolo è subentrata l’era dell’abbondanza, con i vaccini ampiamente disponibili perfino nelle farmacie e la campagna è stata di nuovo capace di farci classificare tra i primi in Europa. Non ci furono catastrofi, non ci sono miracoli. Eppure ci piace tremendamente dannare l’uno e idoleggiare l’altro, a parti scambievoli a seconda del pregiudizio fazioso che ci ispira quanto al governo politico di maggioranza uscito di scena e al governo istituzionale di unità subentrato.

 

Draghi non è un miracolo, a parte il suo meritato prestigio personale e il suo curriculum eccezionale: ha un nucleo di ministri economici di prim’ordine per spendere bene i soldi europei, un’investitura potente, venuta dall’alto per la crisi della maggioranza politica precedente, una missione internazionalmente riconosciuta, il savoir faire di una grande scuola tra tecnica e politica. Il miracolo è che riesca a fare bene il suo lavoro senza opposizione, con i media di destra e di sinistra sdraiati ai suoi piedi, di nuovo con un inesistente controllo parlamentare, e con ben undici ministri prestatigli dal predecessore. Draghi è garanzia di un’impresa riformista senza precedenti per impiegare risorse che sono arrivate Conte consule.

 

Arcuri ci ha procurato le mascherine necessarie al prezzo giusto in un periodo di sorpresa, sconcerto e scarsità di mezzi sanitari, Figliuolo ha egregiamente consolidato il lavoro di protezione civile con una buona campagna vaccinale. L’uno era burbero e antipatico, l’altro un simpatico suonatore di organetto, ma il fatto è che le cose sono andate come dovevano, tutto sommato, perché poi c’è un tessuto vitale, zeppo di inciampi e di imposture come sempre nella vita pubblica, che ha semplicemente funzionato dai tempi del primo lockdown avanguardista. Il miracolo dunque è il sistema politico e istituzionale italiano, tacciato di trasformismo dai pedanti, capace di evolvere prodigiosamente davanti ai nostri occhi. Dovremmo benedire e ringraziare, invece ci piace fare il solito casino.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.