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Il fascistissimo art. 4 della legge Zan non va bene

Maurizio Crippa

Le libertà di pensiero e parola sono sacre, e non “fatte salve” per concessione della legge Zan 

Si dà per fatto che il ddl Zan sarà approvato in Senato e diventerà legge, mentre il tentativo dell’ultimo minuto del centrodestra (il che la dice lunga anche sul reale interesse), il testo unitario presentato col titolo chilometrico “Disposizioni in materia di circostanze aggravanti…” eccetera, non verrà nemmeno considerato. Tra qualche settimana l’Italia avrà una legge di contrasto “all’omolesbobitransfobia, alla misoginia e all’abilismo”, e chi sia interessato può continuare a discuterne all’infinito. Qui l’unica cosa che invece interessa notare – o se non fosse ridicolo il verbo, denunciare – è che nel ddl Zan c’è un articolo, il 4, che è un obbrobrio dal punto di vista dell’idea stessa di libertà e di civiltà giuridica, ma nessuno lo ha criticato, a parte qualche liberale di vecchia scuola (come Pigi Battista, letto su Twitter). Ma grida vendetta.

 

Il fascistissimo articolo, che davvero non si comprende come sia venuto fatto agli estensori di formulare in tale modo, recita: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”, eccetera. Sono “fatte salve”? E da che cosa? E da chi? Per concessione magnanima di quale potere? In base a quale forma di discrezionalità? Un fascistissimo articolo, come appunto “fascistissime” furono le leggi che distrussero la già ferita democrazia italiana. La quale oggi, da Costituzione più bella del mondo, stabilisce, all’art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Non bastasse, visto che siamo orgogliosamente occidentali, il modello inarrivabile di riferimento è il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

 

“Fatte salve” un tubo, quello è il fondamento. Riscrivano l’articolo, se hanno a cuore democrazia e buon senso: “La manifestazione del pensiero è libera, fatte salve le situazioni in cui il suo esercizio configuri il reato di…”, eccetera. Che l’articolo sia stato così pessimamente formulato, significa invece che l’idea che dovrebbe stare nel primo emendamento simbolico della nostra Costituzione per il deputato Zan e chi per lui è subordinabile a interessi e convincimenti di parte. I quali, per quanto legittimi, da quella prima affermazione dipendono e discendono.

 

E’ notevole, del resto, che tutti i giornali che sostengono il ddl Zan si siano premurati di spiegare appunto che “la libertà di espressione non viene messa in discussione dal ddl Zan”.  Che si configuri come “fatta salva”, evidentemente non disturba. Ma è esattamente il tic, chiamiamolo tic, che contraddistingue i promotori della legge: la libertà di espressione non è assoluta, dipende da chi la esercita. Un caso più grossolano: la grottesca iniziativa di una libraia  che ha dichiarato di non voler vendere il libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, “per una scelta etica”. Tralasciando la stucchevole retorica sui libri al rogo, si può tranquillamente dire che ha ragione: un esercizio commerciale privato vende la merce che vuole. Però dovrebbe sapere che la sua è una discriminazione perseguibile dalla legge, magari nella forma del reato di odio. Molti le hanno dato ragione: è giusto non vendere il libro di Meloni. Peccato siano gli stessi che, qualche anno fa, caldeggiavano la condanna di un pasticciere del Colorado che si era rifiutato di preparare la torta nuziale per un matrimonio gay: se vuole tenere aperto sia obbligato a fare la torta, dicevano, accusandolo di “omofobia”. La torta sì ma il libro no? I sostenitori della libertà “fatto salvo” quel che pensano loro dovrebbero mettersi d’accordo con se stessi, prima di votare il fascistissimo articolo.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"