La storia

Così Bettini-Conte-Letta hanno trasformato Raggi nella Merkel del Gra

La disfatta della strategia rossogialla: ora la grillina è più forte e Gualtieri parte depotenziato

Simone Canettieri

In 72 ore la sindaca di Roma è diventata una statista e ha messo in buca (con la regia occulta di Di Maio)  i leader di Pd e M5s. Anche questa volta lei non si è accorta di nulla: hanno fatto tutto gli altri 

Da quassù si potrebbero abolire perfino le elezioni: Roma sopravviverà a se stessa. Sicuro. Terrazza Caffarelli: propaggine dei musei capitolini, colle del Campidoglio purissimo. Maggio impertinente. Senza aguzzare la vista: Teatro Marcello, Pantheon, Altare della patria. Un libro di storia spalancato. Due consiglieri comunali del Pd, Valeria Baglio e Giovanni Zannola,  pranzano. Sembrano un po’ storditi: “Fino  a poco tempo fa, Raggi aveva problemi con i numeri della sua maggioranza,  ora esce da questo caos rafforzata. Pazzesco”.

 

I  due onorevoli, come si chiamano gli eletti in aula Giulio Cesare, non lo ammettono. Ma se Raggi  si è svegliata come la  Thatcher della borgata Ottavia o la Merkel del Gra è merito anche del loro partito: il Pd.

 

In settantadue ore la sindaca  ha messo in buca: Conte & Bettini, Letta & Boccia. Ha stoppato Zingaretti e depotenziato Gualtieri. Capolavoro. E come al solito lei  c’entra poco o nulla: hanno fatto tutto gli altri.         

 

Nell’ultimo weekend, per non farsi mancare nulla, la sindaca di Roma che esonera assessori come faceva Maurizio Zamparini con gli allenatori (venticinque cambi in giunta in cinque anni) è riuscita anche a piazzare Daniele Frongia, ex titolare dello Sport, nel gabinetto della ministra Fabiana Dadone. Il tutto a un mese dal primo grande evento sportivo in presenza in epoca Covid: gli europei di calcio, con Frongia lasciato a fare il commissario di Euro2021. Il Pd è stato muto perché sperava che intanto andasse in gol la candidatura di Nicola Zingaretti. Com’è andata a finire si sa. Ma come Raggi sia riuscita a metterli tutti nel cesto resta una storia quasi surreale.

 

Giuseppe Conte ha fatto prima carte false per farla ritirare (“Quante pressioni!”, si è sfogata lo scorso aprile), poi ha cercato di convincere i grillini che appoggiano Zingaretti in Regione che in caso di candidatura del governatore la giunta sarebbe dovuta andata avanti qualche mese per evitare l’election day Regione-Comune. Ma l’ex premier non ce l’ha fatta nemmeno questa volta. Perché? Forse parla poco con il M5s, il partito che vuole guidare, o forse non ne conosce bene le dinamiche. D’altronde il suo consigliere politico è Goffredo Bettini, che fa parte di un altro partito: il Pd, appunto. 

 

Raggi è rimasta ferma. Per quarantotto ore. E ha aspettato sulla riva del fiume (o sopra un cassonetto) che  Luigi Di Maio facesse un’altra mossa: una dichiarazione che la blindasse. E così è stato. Anche il ministro degli Esteri, come Conte, non ama particolarmente la sindaca (e viceversa). Ma conosce  gli umori dei pentastellati e ha capito per primo che non si potevano fare accordi alle spalle di Raggi (troppo forte, troppo donna, troppo identitaria).

 

Di Maio ha giocato d’anticipo e ha parlato con Roberta Lombardi, assessore in giunta con Zingaretti, la quale addirittura si è esposta a favore della sindaca dicendo no a una candidatura del governatore dem a Roma perché “per noi sarebbe imbarazzante”.  Lombardi detesta la sindaca (e viceversa) ma per la prima volta  le è stata alleata.

 

Sicché Conte domenica è rimasto con il cerino in una mano e con il telefono nell’altra a parlare solo con i dirigenti del Pd e a sfogarsi con Bettini per il buco nell’acqua (è come se Giorgia Meloni si facesse consigliare da Giancarlo Giorgetti).

 

E così si è giunti alla candidatura di Roberto Gualtieri, nei fatti ratificata dal trio Letta-Conte-Bettini. Con Di Maio pronto a rivendicare “giù le mani da Virginia”, forse affatto rammaricato dalla Waterloo dell’ex premier che continua a rimanere nelle sabbie mobili (ieri lo ha sbeffeggiato anche Davide Casaleggio: lo ha chiamato Godot e definito “no lex”, e gli ha ricordato che non è nemmeno iscritto al M5s).

 

Per rispetto delle forme la sindaca di Roma, che adesso è convinta e forse non sbaglia di arrivare al ballottaggio, ha ringraziato per l’appoggio tutti coloro che nel M5s avrebbero voluto farle la festa. Nel suo lunedì da Thatcher, Raggi ha dato conto di una pista ciclabile e di una fontana sistemate a Ostia, ha detto su Twitter a Giuliano Castellino di Forza Nuova che “Roma rimane antifascista” e   ha fatto agli auguri alla signora Maria che compie cento anni. Quanto è lontana da qui la terrazza Caffarelli.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.