Intervista

"La Rai si salva adesso o chiude". Intervista a Carlo Verdelli

Ex direttore di Repubblica. Nel 2017 si è dimesso dalla Rai. Suo l'ultimo tentativo di riforma dell'informazione

Carmelo Caruso

"La Rai è un paese bolla e tribù. Non sta dove passa il mondo. E' un argomento che dovrebbe far parte del Pnrr. Tre anni sono pochi per chi la dirige. Va allungato il mandato dell'Ad. La politica non sia ipocrita: o esce dalla Rai o entra ma fisicamente". Intervista all'ex direttore Repubblica

Roma. Sono passati quattro anni dalle sue dimissioni da direttore dell’informazione Rai. Carlo Verdelli si è pentito? “Non solo non mi sono pentito ma continuo pensare che lavorare in Rai sia stata una fortuna. Non è stato un errore accettare quell’incarico”. Perché ha accettato? “Perché la Rai è qualcosa d’ importante. Era la televisione che guardava mio padre e mia madre. Il mio voleva essere un contributo affettivo”. E’ stato il suo migliore errore? “Non lo è stato. In quella stagione si sono ottenuti risultati straordinari. E’ finita male e però poco importa come finisce quando tutto è desiderio. Io ci ho messo desiderio. Come sempre”.

 

Dopo quell’esperienza, Verdelli ha scritto un libro. Il titolo è “Roma non perdona. Come la politica si è ripresa la Rai” (Feltrinelli). Ci sono i numeri del gigantismo Rai: un popolo di dipendenti (oltre 13 mila) centri di produzione, corrispondenze all’estero, doppie sedi regionali. In vista delle olimpiadi di Tokyo si sa già che la Rai è pronta a inviare 71 giornalisti a cui si aggiungeranno montatori, fonici, elettricisti. Una carovana. Si dice che quel libro lo abbia scritto per vendicarsi. Ci è riuscito? “Non l’ho scritto per vendicarmi. La prova è che tutti quelli che ho citato non hanno mai chiesto una rettifica”. Da allora, in Rai, cosa è cambiato? “Non mi sembra che sia cambiato qualcosa. La verità è che stiamo rischiando di perdere questa azienda”. Chiudere la Rai? “La pubblicità è destinata a diminuire, l’aggressione delle piattaforme digitali ad aumentare. E’ inevitabile che il problema si porrà. Una azienda pubblica con questi numeri ce la possiamo permettere? Ha senso ancora tenerla in piedi?”.

 

E invece è tornata a fare parlare di sé per il caso Fedez e non per i suoi bilanci, i suoi prodotti sempre più scalcagnati, la sua informazione sempre più corriva. Cosa è la Rai? Dice Verdelli: “E’ un problema urgente e sottovalutato che dovrebbe entrare nel Pnrr. L’Italia del dopo Covid avrà bisogno di un servizio pubblico all’altezza. In questo momento la Rai non si trova dove passa il mondo. Rimane però l’unica a ricevere un canone diretto. Per ben due terzi si mantiene grazie al contributo degli italiani che sono i suoi azionisti di maggioranza, anzi, di stramaggioranza”.

 

Dopo le sue dimissioni, Verdelli ha diretto Repubblica e oggi è tornato a scrivere sul Corriere della Sera. Nel 2016 venne chiamato dall’amministratore delegato Antonio Campo Dall’Orto a sua volta indicato e voluto da Matteo Renzi. Verdelli ha ricoperto un incarico inedito e preparato quello che rimane l’ultimo tentativo di riforma dell’informazione Rai. Giace negli armadi della televisione di Stato. La Rai è infatti il più grande aborto di utopie, la discarica delle speranze. Si è mai chiesto dove sia finito il suo piano? “Me lo sono chiesto e mi sono anche informato. Non è forse anche quello uno spreco? Era un piano collettivo nato dalla collaborazione, dai pensieri scambiati con Francesco Merlo e poi con altri come Pino Corrias, Diego Antonelli, Loris Mazzetti. Era un piano eversivo”.

 

Ha scoperto chi lo fece uscire e dato alla stampa? “Mi sono fatto un’idea. Non importa chi è stato. Ma il significato. Darlo alla stampa significava bruciarlo. Non volevamo cambiare la Rai ma ammodernarla. Questo era il mandato. Il piano salta quando Renzi cambia approccio sulla Rai. Come nel passato anche lui avrà pensato: serviamoci della Rai. Quel piano era venuto meno perché erano venute meno le regole d’ingaggio”. Oggi ci sono virologi anche per Rai. Si candidano a entrare nel nuovo Cda che verrà nominato (sono 315 i cv presentati). Promettono di curare i suoi mali, spacciano filtri. Verdelli ha scritto che in Rai si vive come in un paese bolla. Perché un giornale spedisce un solo inviato mentre la Rai, come nel caso delle Olimpiadi, ne invia 71? Risponde: “Perché la Rai è fatta di tribù. C’è la tribù del Tg1, quella del Tg2, del Tg3, di Raisport. Ogni tribù di fronte a un fatto non si preoccupa di raccontarlo ma di come difendere di fronte al fatto la propria identità. Nessuno riesce a federare queste tribù”. Mario Draghi potrebbe cambiarla? “Non so se riuscirà. Chi sarà chiamato a guidarla ha bisogno di anni e non di tre come prevede il mandato attuale. Serve un tempo indefinito. Questa sarebbe una bella riforma”. 

 

Nel piano Verdelli c’era la proposta di bandire, nei tg, la frase “e ora passiamo all’economia”. Nel nuovo piano, che non c’è, bandiamo le frasi “fuori i partiti dalla Rai” e “basta lottizzazione”? “Sì, entrambe. E poi l’ipocrisia. In questi giorni c’è stata una autodenuncia notevole. E’ quella di Roberto Fico. Ha riconosciuto che anche il M5s ha occupato spazi. Ebbene, o si esce davvero dalla Rai o altrimenti la politica abbia il coraggio di entrarci, ma fisicamente. Con due piedi. Il tempo che la Rai perde nel cambiare non fa altro che avvicinarla alla sua fine”. Se la richiamassero? “E’ un’ipotesi dell’irrealtà”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio