L'autodifesa e le controaccuse

Speranza day. Il ministro incassa la fiducia, ma l'agenda è già oltre

E il centrodestra di governo che ha votato per salvarlo deposita un Dl per una commissione d'inchiesta

Marianna Rizzini

"Continuerò con disciplina e onore", dice il ministro dopo il voto a suo favore. E Salvini "preferirei Sileri tutta la vita"

Roma. La mozione di sfiducia di Fratelli d’Italia al ministro della Salute Roberto Speranza è respinta in Senato con 221 voti contrari, dopo che il ministro ha scandito il suo “non si fa politica su una grande epidemia” con parole solenni, rilanciate dal senatore di LeU Vasco Errani (“Speranza ci ha messo la faccia”). Eppure da molti altri — tutti suoi difensori — le stesse parole sono digerite in fretta per passare ad altro. La Lega e Forza Italia, che non lo hanno sfiduciato ieri causa compresenza nello stesso governo Draghi, guardano infatti immediatamente a una commissione bicamerale d’inchiesta che accerti le eventuali falle nella gestione pandemica, tanto che, a sera, i senatori del centrodestra governativo Massimiliano Romeo, Anna Maria Bernini, Antonio De Poli e Paolo Romani, dopo aver votato per salvare il ministro dalla sfiducia, depositano un disegno di legge all’uopo. E Salvini, che da giorni ostentava stima per Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute e grande accusatore dei vertici del ministero, ieri rincarava (“preferirei Sileri tutta la vita”), aggiungendo anche la frase “spero che Speranza diventi presto collega di Domenico Arcuri”, nel senso della defenestrazione dal ruolo apicale. E insomma lui, Speranza, il ministro, incassava la rinnovata fiducia anche se tutti parlavano di lui per dire altro. 


Il capogruppo alla Camera Pd, Debora Serracchiani parlava di lui per puntare “all’unità” (all’indirizzo della Lega); il senatore pd Dario Stefano parlava di lui per puntare al “cannibalismo di Giorgia Meloni”, il senatore M5s Danilo Toninelli parlava di lui per puntare al “centrodestra spaccato” e Davide Faraone, capogruppo di Italia viva al Senato, parlava di lui lodando intanto Lega e Forza Italia “a sostegno di Draghi”. E dunque Speranza, al momento del voto che lo rinsaldava al suo posto, e al momento degli applausi, non poteva esultare (e infatti, visti anche gli argomenti epidemiologici trattati, restava mesto e composto), lui che si era speso in difesa di se stesso con mimica tesa a rimarcare il “linguaggio d’odio” e con tattica di rovesciamento di responsabilità su altri: e cioè sui “sette governi” precedenti, “con diverse maggioranze parlamentari” (il concetto era: se proprio volete accusarmi di mancato aggiornamento del piano pandemico “che ora c’è”, rivolgetevi ai predecessori), e anche su chi, nel tempo, ha indebolito il Sistema sanitario nazionale (“sono emerse le debolezze dopo decenni di scelte sbagliate”), facendo arrivare “l’Italia indebolita al tragico appuntamento con il Covid”.

 

Ma c’era stato anche spazio, nel discorso di Speranza, per un’autodifesa dal pensiero stanco degli italiani, dopo un anno e tre mesi di vita abituale stravolta: “Il lockdown, le zone rosse, il blocco delle attività che non è possibile svolgere in sicurezza o che possono determinare assembramenti, la limitazione dei movimenti non necessari, l’utilizzo costante delle mascherine non sono decisioni adottate per complicare la vita delle persone, ma l’unica strada, in assenza del vaccino, per arginare la diffusione del contagio”. E c’era stato spazio anche per l’argomento tormentone di ogni cabina di regia: “Mai scaricata la responsabilità sulle Regioni”. E insomma il ministro, più volte difeso da Mario Draghi nelle ultime settimane (“a Salvini ho detto che sono stato io a volerlo al governo”; “le accuse a Speranza non sono né fondate né giustificate”, aveva ribadito il premier), attaccava i suoi accusatori al grido di “si afferma il tentativo di sfruttare l’angoscia degli italiani per miopi interessi di parte”. 


Il senatore di FdI Ignazio La Russa intanto diceva: “Mai visto un ministro sul quale è stata presentata una mozione di sfiducia presentarsi da solo in Aula” (e si apprendeva allora che Sileri, il sottosegretario accusatore, era assente per motivi di forza maggiore: la nascita di un figlio). Speranza, a sera, ringraziava i sostenitori al grido di “continuerò a lavorare con disciplina e onore”, ma l’agenda era in qualche modo già alla pagina successiva. 
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.