Accucciati, sì, ma nel civismo

Giuliano Ferrara

Nella cuccia in cui il paese sembra acciambellato, c’è un quantum di saggezza e di adesione alla norma difficile da sottovalutare. Ci sono agitazioni, ma l’Italia che splende non è quella delle piccole minoranze

Il vecchio e saggio Giuseppe De Rita, capo del maggiore istituto di ricerche sociologiche, il Censis, ha il gusto e il talento, come tutti sanno, della formula icastica, descrittiva di uno stato di coscienza e di comportamento degli italiani. In un articolo nel Corriere li raffigura adesso “accucciati nella paura”, e se ne preoccupa. Per uscire dalle crisi ci vuole anche slancio, scrive, come dimostrano le grandi crisi precedenti questa, massime il Dopoguerra. Insomma, De Rita fa appello a ribellarsi contro la parte di sé, un Sé collettivo, che si è accucciata. Immagine e appello hanno un loro fondamento e un loro fascino. Ma si può accennare, quanto allo stato d’animo della nazione, a un’interpretazione alternativa.

       

 

Le iniziative di protesta contro i ritardi nelle riaperture sono espressione legittima di interessi e bisogni socialmente diffusi. Eppure si configurano spesso, quasi sempre, come agitazione di piccole minoranze, con interventi tra il cupo e il folkloristico di organizzazioni di destra, gruppi negazionisti eccetera. Non si vede una radicalizzazione importante, almeno fino a ora, del ceto medio imprenditoriale, nemmeno di quello legato al commercio, alla ristorazione, al turismo, a certi settori dell’economia dei servizi devastati dalle chiusure.


La ferita è grande, ma sono notevoli i meccanismi di compensazione approntati dal potere pubblico, funziona anche una catena delle solidarietà in mille arrangiamenti privati, tutte cose che riducono in certa misura, non sufficiente a evitare zone ampie di sofferenza nel lavoro e nel reddito, il disagio o malessere a fronte della pandemia e delle sue conseguenze.

       

 

L’impressione per certi versi è che la cuccia non sia solo quella legittima della paura, ma di una rassegnata consapevolezza. Rassegnazione ha un connotato retoricamente negativo, in genere, ma consapevolezza no, è espressione di un sentimento o di una disposizione razionale che lascia adito alla speranza e perfino a un relativo ottimismo. Nella cuccia in cui sembrano acciambellati gli italiani visti da De Rita, e Dio solo sa quanto sia difficile giudicare l’estro e lo stato di coscienza di un paese come il nostro, evitando false generalizzazioni, c’è un quantum di civismo, di saggezza, di adesione alla norma, roba difficile da sottovalutare. La stragrande maggioranza dei cittadini può sembrare convinta, con tutta la diffidenza scettica residuale del caso, che tutto sommato la rete di protezione è stata dispiegata, in una situazione sconosciuta e pullulante di pericoli, al di là di quanto magari sarebbe stato in teoria prevedibile. La sensazione dei più è forse quella di una “nuttata” edoardiana, non di un collasso. E pochi sono disponibili, in realtà, a una controverità di contropotere, di qui la debolezza relativa delle proteste attivistiche.

       

I cedimenti maggiori a una paura sconclusionata riguardano, in questo schema di ragionamento ovviamente fallibile, le classi dirigenti, in particolare la politica troppo dipendente dal consenso immediato e il sistema dell’informazione e del chiacchiericcio o una sua parte rilevante. Nella media gli italiani sembrano aver stabilito un rapporto non dico pacificato e rinunciatario ma dolentemente responsabile e comprensivo con il tempo, ritenuto un fattore lento e intollerabilmente lento, a volte, di decantazione di una crisi inaudita, la cui scala mondiale alla fine tappa la bocca al ribelle che è in noi considerando che la triste patina della malattia, qui più qui un po’ meno, si spande uniforme a ogni latitudine e longitudine.

 

L’Europa poi è il centro mondiale del welfare, dell’assistenza sanitaria pubblica, della protezione sociale, elementi sconosciuti altrove in questa misura e forza. E il grande paradosso è che un sistema che ha infantilizzato e deresponsabilizzato in parte le società moderne stavolta funziona come stimolo alla consapevolezza e a una eccezionale misura di comportamenti. Riaprire con slancio uno spirito pubblico capace di scavalcare la bolla dell’igienismo e del distanziamento sociale è auspicabile, come vuole De Rita, ma partendo, credo, da questo riconoscimento.

       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.