Il voto ai 16enni non è mai una priorità

Roberta Benvenuto

Enrico Letta ha riproposto il tema. I partiti però continuano a vederlo come un teme rimandabile. A dimostrarlo il lento iter parlamentare per l'ok al voto ai 18enni al Senato. E loro? Chiedono più voce, formazione e una maggiore incisività nei partiti

Un argomento sempre valido, divisivo, ma non troppo perché sono tutti d’accordo, “ai giovani va data più voce ma non è una priorità, non ora con la pandemia in corso". È la storia del voto ai 16enni riproposto una settimana fa dal neosegretario del Partito democratico Enrico Letta durante il suo discorso programmatico. “I giovani sono la parte più piccola della nostra società. Sono convinto che il voto debba essere dato ai 16enni, so che è una battaglia complicata”, ha detto in Assemblea.

 

Secondo l’Istat le persone tra i 16 e i 18 anni sono poco più di un milione e 130 mila unità, circa il 2 per cento del corpo votante nel 2018. A riconoscere il diritto di voto ai 16enni ci sono paesi come Austria, Malta, Argentina, Brasile, Nicaragua, Cuba, Ecuador.

 

In Italia dal 2007 il Partito Democratico ha dato questa possibilità alle primarie, puntando sull’effetto traino: i 16enni che votano nei circoli saranno i 18enni che votano nelle urne domani. Ma oggi “vorrei che portassimo a casa il voto ai 18enni in Senato, sette classi di età sono escluse, ed è causa di irragionevolezza perché può favorire maggioranze diverse”, spiega Stefano Ceccanti  promotore della riforma costituzionale che abbassa l'età per poter eleggere i senatori. Un provvedimento che ha incontrato non poche difficoltà come ricorda lo stesso relatore Federico Fornaro, capogruppo Leu alla Camera: “Le riforme costituzionali hanno un iter lungo e complesso, se non c’é una larga intesa. Nello specifico la mia proposta di riforma costituzionale ha incontrato una resistenza forte in Lega, Fi e Fdi”, ricorda.  “In una fase di invecchiamento del paese allargare il numero di giovani che votano e che possono fare pressione può essere una cosa giusta, ma non vedo un percorso semplice”, dice ancora.

 

Per Giorgia Meloni “la priorità dei 16enni non è avere il diritto di voto ma andare a scuola, avere una vita sociale, avere la libertà”. Stesso discorso di Matteo Salvini, da sempre d’accordo sulla questione ma in questo caso “i 16enni chiedono di andare a scuola a studiare, non a votare”.  

 

Una soluzione mediana, secondo Ceccanti, è quella di abbassare il voto per le Amministrative “come momento di apprendimento civico del voto di una realtà più conosciuta”. 

 

E loro cosa ne pensano? “Potrebbe essere un inizio ma serve anche altro, una campagna di sensibilizzazione”, dice al Foglio Ludovica, 17 anni, da pochi mesi militante del Partito democratico. I suoi compagni di classe già maggiorenni “non sono andati al referendum per il taglio dei parlamentari perché non erano interessati, non sapevano di cosa si trattasse, non sapevano neanche il giorno”, racconta. Insomma, la politica non è più attrattiva, come un tempo. Dunque, il problema è a monte. “Se vogliamo evitare che per i 16enni andare alle urne sia un po’ come una gita scolastica che si fa ogni 5 anni dobbiamo assicurarci di coinvolgere i giovani nella vita democratica e dei partiti politici”, è la versione di Agostino Biondo da poco segretario dei Giovani Democratici di Roma. Lui, in un territorio tutt’altro che semplice come Ostia, ci prova a coinvolgere i ragazzi ma  “oggi i giovani devono pensare al proprio futuro, ad avere un lavoro, non possiamo concentrarci nel fare politica. La classe politica è meno formata. Noi Giovani democratici proviamo a metterci una toppa”. Per questo, “prima ancora del voto ai 16enni bisogna fare una legge sul funzionamento dei partiti che porti i ragazzi a incidere sulle scelte dentro il partito”.

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