Bergamo, il giorno della memoria

La voce degli "operatori del bene" citati da Draghi, un anno dopo

Il racconto dei volontari

Marianna Rizzini

L'artigiano Giacinto Giambellini si è trovato dalla mattina alla sera al centro di quello che Draghi ha chiamato "il miracolo", l'ospedale da Campo alla Fiera di Bergamo. Maria Nosari non aveva mai fatto volontariato ma, avendo perso il lavoro con la pandemia, voleva "sentirsi almeno utile". Gloria Zanatta, presidente di Cesvi, ricorda i giorni in cui bisognava reperire mascherine per gli operatori dell'ospedale Giovanni XXIII

“Lo abbiamo fatto per i nostri, per le persone che abbiamo perso e per quelle che stavamo per perdere, mi scusi se mi commuovo”. Giacinto Giambellini, impiantista idraulico e presidente degli artigiani bergamaschi, sta raccontando l’impresa di un anno fa: l’ospedale da campo alla Fiera, realizzato in una settimana da volontari come lui – imprese e lavoratori – sotto la supervisione logistica degli Alpini e della Protezione Civile. Non vuole complimenti, Giambellini, gli basta, dice, rimettere in fila nella memoria quelle ore di un anno fa, quando ha deciso di darsi da fare per la sua città come “tanti miei concittadini e colleghi, perché non c’era altro da fare”. Una cosa che lo fa sentire “orgoglioso di tutti noi”. E’ il 18 marzo 2021, il giorno in cui Bosco della Memoria per le vittime del Covid-19 è illuminato dal sole, una carezza nel giorno difficile del ricordo: un anno fa sfilavano infatti per le vie di Bergamo i carri con le bare che il cimitero non poteva accogliere. Un’immagine spettrale che il sindaco Giorgio Gori ricorda, per dare coraggio alla città “che vuole essere simbolo di rinascita”, avvenuta anche grazie all’azione degli “operatori del bene” che il presidente del Consiglio Mario Draghi, al suo primo discorso dopo l’insediamento, cita nel suo intervento, poco prima che la tromba di Paolo Fresu accompagni l’evento con quelli che il musicista poi chiamerà “i miei suoni silenziosi per le vittime del Covid”. 


Gli operatori del bene, cioè i volontari dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, e i volontari che Gori ha chiamato “i nuovi Mille”, ragazzi e ragazze protagonisti sottotraccia della rete di solidarietà. Poi ci sono i volontari del “miracolo”, così l’ha chiamato Draghi: l’ospedale da campo suddetto, tirato su in pochi giorni. Ricorda Giambellini: “Era domenica, il 22 marzo 2020, io ero a casa, come molti altri colleghi. Mi sentivo un leone in gabbia, sconfortato, confinato, senza poter fare nulla. Il giorno dopo sarei dovuto andare con mio nipote e braccio destro Daniele a chiudere l’ultimo cantiere attivo. Non immaginavo che, nel giro di un giorno, sarei stato catapultato nel progetto. Avevo, sì, da presidente della Confartigianato Bergamo, dato la mia disponibilità agli Alpini per l’eventuale realizzazione di un ospedale, ma la realtà ha superato ogni aspettativa”. Il tempo era poco, visto il numero di vittime.

 

Il lunedì mattina la segretaria di Giambellini manda “una mail massiva, come la chiamo io”, racconta l’artigiano. Cioè una mail a 14mila soci in cui c’è anche il suo numero di cellulare (che da quel momento non ha mai smesso di squillare). Si cerca gente “competente e capace”. Il lunedì sera i primi dodici volontari entrano in uno spazio vuoto di seimila metri quadrati. Alcuni erano preoccupati: “In dodici non ce la farete mai”, dicevano a Giambellini. “Poi è arrivata la forza d’urto: gente che veniva e portava parenti e amici. Un artigiano ucraino e uno boliviano arrivato con i fratelli; aziende che hanno mandato dieci dipendenti, più di trecento adesioni di aziende in 24 ore, per quasi un migliaio di volontari”. I primi dodici la mattina dopo non volevano smettere, “poi sono arrivati altri 120, e anche quelli volevano continuare a lavorare.

 

Cinque giorni in cui non riuscivamo a dormire, presi dalla voglia di fare, aiutati da tutti: chi ci donava materiali, chi ci mandava messaggi: ‘Non mollate mai’”. C’è anche un video in cui si vedono gruppi al lavoro con ritmi da “Tempi moderni” di Charlie Chaplin. Invece era Bergamo, in piena pandemia. Ed è capitato che, nella fretta, la circonferenza per l’atterraggio degli elicotteri sia stata dipinta con troppa vernice. La sera Giambellini postava immagini, e il giorno dopo qualcun altro si aggiungeva: “Ognuno aveva un suo perché: una persona cara, malata o scomparsa”.

 

Intanto, all’ospedale Papa Giovanni XXIII, dice Gloria Zanatta, presidente di Cesvi, una delle associazioni più attive nel volontariato a Bergamo, “ci si attrezzava per le forniture ai medici – mascherine e amuchina. Come si ricorderà, all’inizio erano merce rara, ma attraverso i contatti già avviati a livello internazionale, nell’ambito delle Nazioni Unite, siamo riusciti a farle arrivare. Subito dopo ci siamo attivati nella raccolta fondi per le iniziative di assistenza anziani e persone fragili, raccolta rendicontata lo scorso autunno. Abbiamo cercato semplicemente di ascoltare quali fossero i bisogni più urgenti per la collettività, per agire tempestivamente e con trasparenza”.

 

Ma c’è anche chi, a Bergamo, volontariato non lo aveva mai fatto. Molti dei “Nuovi Mille”, la maggior parte dei quali sono ventenni e trentenni, vengono infatti da altre esperienze. Come Maria Nosari, laureata in Giurisprudenza. Poco più di anno fa Maria, prima del Covid, lavorava nel ramo eventi. Poi la pandemia ha spazzato via il suo lavoro. “Il virus mi ha obbligata a stare ferma, ma io volevo almeno sentirmi utile. Che cosa posso fare? mi chiedevo, oltretutto vivendo da sola ed essendo in salute. Poi ho visto che il Comune aveva lanciato l’iniziativa ‘Bergamo per Bergamo’, e che ci si poteva segnalare anche senza aver prima fatto volontariato”.

 

In pochi giorni Maria è stata arruolata per la consegna spesa e farmaci: “Avevano tutti paura, non vedevi neanche le persone da aiutare. Prendevamo la lista della spesa in una busta con i soldi, davanti alla porta o nell’ascensore, e riportavamo i viveri e le medicine nello stesso modo. Poi a giugno è arrivata la campagna per i test sierologici e i tamponi ai residenti, in collaborazione con Humanitas: in quel caso mi occupavo dell’accoglienza”.

 

I “Nuovi Mille” si sono poi riconvertiti in “distributori” di mascherine gratuite ai bambini fino a dieci anni, alla riaperture delle scuole, e poi, con la seconda ondata, di nuovo in “portatori” di aiuti (pasti gratis, spesa) alle famiglie in difficoltà. Qualche volta, dice Maria, “qualcuno apriva la porta, anche se ovviamente bardato con la mascherina. E mi dava gioia quando, tra un sorriso, un buongiorno e un cioccolatino offerto, vedevi che a qualcosa davvero eri servito”. 
  

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.