Milano, protesta di genitori e alunni contro la chiusura delle scuole in Lombardia (LaPresse) 

Draghi si dimentica il whatever it takes sulla scuola

Claudio Cerasa

Primarie e asili chiusi, calendari non rivisti, ministro ostaggio dei sindacati. Dire che sulla scuola il governo sta facendo tutto ciò che è necessario fare per salvaguardarla sarebbe bello, ma al momento purtroppo non è così

Spiace dirlo, ma il governo del nostro amato Mario Draghi sulla scuola merita una sonora bocciatura. La merita per alcune questioni legate alle scelte restrittive fatte in questa fase di lockdown. La merita per alcune questioni legate al sospetto rapporto con i sindacati. La merita per alcune questioni legate alla distanza tra le parole consegnate a inizio febbraio alle delegazioni dei partiti e i fatti conseguenti. 

 

La prima questione ha a che fare con la scelta fatta dal governo di rendere obbligatoria la chiusura delle scuole per tutte le regioni che si trovano in zona rossa. Il governo ha presentato questa decisione come una decisione dovuta, “non c’erano alternative”, ma come ha ricordato ieri sul Corriere della Sera Paolo Giordano in pandemia nessuna scelta è dovuta, esiste quasi sempre un’opzione, e anche sulle scuole vi erano altre opzioni che il governo ha scelto di non considerare. Non si tratta di dire che le scuole sono luoghi sicuri (anche se essendo luoghi protetti, controllati, con docenti e operatori scolastici vaccinati e sono più sicuri dei parchetti dove i genitori portano i bambini mentre le scuole sono chiuse). Ma si tratta di capire in un contesto in cui il rischio zero non esiste a cosa un paese è disposto a rinunciare e a cosa no. E si tratta  di riconoscere che tenere chiuse le scuole non è un obbligo, ma è una scelta.

 

Le scuole, in questo momento, come da rilevazione fatta dall’Unesco all’inizio di questa settimana, sono aperte in Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Croazia, Finlandia,  Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania. Sono parzialmente aperte in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi, in Polonia, Ungheria, Grecia, Albania (ad aver chiuso di meno, in questi mesi, sono state la Svizzera, solo 6 settimane; la Francia, solo 9 settimane; e la Spagna, solo 15 settimane). Sono chiuse – oltre che in Italia, che in Europa è il paese, dopo la Repubblica ceca, la Polonia, la Slovacchia e la Macedonia ad aver avuto più settimane di chiusura (29) – in Germania, Irlanda e Portogallo, dove però le settimane in cui le scuole sono state chiuse, totalmente o parzialmente, sono state pari a 23 in Germania, a 17 in Portogallo e a 22 in Irlanda.

 

Dunque, che fare? Un mese fa, Mario Draghi aveva promesso “vaccini di massa ai docenti, nuovo piano vaccinale, tamponi di massa agli studenti”. I vaccini ai docenti sono stati fatti, il nuovo piano vaccinale c’è, ma per proteggere la scuola manca il punto numero tre – che fine hanno fatto i tamponi di massa per gli studenti? – e anche un altro punto importante che è quello che ieri ha ricordato a modo suo il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi nel corso di un’audizione in commissione al Senato. Bianchi ha detto che occorre “riportare i più piccoli in presenza” (bene). Ha detto che bisogna lavorare “soprattutto in vista del prossimo anno scolastico” (e per questo che si fa?). E ha affermato che “il problema degli apprendimenti non si risolve negli ultimi venti giorni di giugno”, bocciando dunque di fatto, per la gioia dei sindacati, una delle proposte fatte dallo stesso Draghi durante le consultazioni di febbraio: allungare il calendario scolastico fino al termine di giugno.

Il ministro dell’Istruzione francese, Jean-Michel Blanquer, in una bellissima intervista rilasciata tre giorni fa al Parisien, ha detto che il governo di cui fa parte, che tra l’altro non ha ancora iniziato a vaccinare i docenti, “intende fare di tutto per preservare la scuola dagli effetti della pandemia”, ha detto che la scuola va chiusa “solo quando avremo provato tutto il resto e non sarà risultato abbastanza”.

Mario Draghi ha dimostrato di essere un campione del whatever it takes. Dire che sulla scuola il suo governo stia facendo tutto ciò che è necessario fare per salvaguardarla sarebbe bello, ma al momento purtroppo non è così.
  

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.