L'intervista

Fioroni ci spiega che cosa è rimasto del Pd che ha fondato

David Allegranti

"Volevamo realizzare una sintesi tra le culture politiche del Novecento. Dobbiamo chiederci se oggi abbiamo ancora quell'ambizione"

Dice Beppe Fioroni, uno dei 45 fondatori del Pd e consigliere politico del ministro Lorenzo Guerini, che “nessuno ha chiesto le dimissioni di Zingaretti, che peraltro ha più dell’80 per cento dei consensi in tutti gli organismi di partito, dalla periferia al centro, e quindi ha una maggioranza che lo sostiene molto forte e per lui rassicurante. Altra cosa è, come dico io, chiedere che il Pd finalmente abbia un confronto serio e definitivo. Siamo a un bivio. Quando abbiamo fatto nascere il Pd, e io sono uno dei 45 fondatori, avevamo l’ambizione di realizzare una sintesi tra le culture politiche del Novecento - un amalgama sì ma ben riuscito - in modo da lasciarle alle nostre spalle e costruire un nuovo soggetto politico che rappresentasse la vera novità: un soggetto politico con l’ambizione di essere maggioritario. Attenzione, non con l’ambizione a fare una legge maggioritaria, ma a rappresentare la complessità della intera società italiana. Un soggetto politico insomma con la capacità di poter dare risposte, rappresentando le ansie, le preoccupazioni, le paure, le gioie e le sofferenze dell’intero popolo italiano. Ecco, noi oggi dobbiamo capire se abbiamo ancora quell’ambizione”.

 

Quel soggetto politico, dice Fioroni, aveva due caratteristiche: “Essere contendibile, attraverso le primarie, e plurale. Erano i due aspetti fondanti. Questa impostazione è ancora valida?”. Naturalmente, dice Fioroni, “è legittimo parlare di voler costruire un soggetto di sinistra, ma è un’altra cosa, distinta e distante dal Pd. Questo chiarimento è oggi necessario ed è giusto chiederlo. Ma se il Pd non è all’altezza del coraggio di ciò che abbiamo ideato e non ha quindi il coraggio di proseguire buttando il cuore oltre l’ostacolo, c’è il rischio vero che, in caso di fallimento, il vuoto creato verrebbe riempito da altri. Zingaretti non c’entra niente. Serve una risposta politica. Questo è il nodo ed è inutile continuare a eludere questa risposta”. La discussione, aggiunge Fioroni, non può essere affrontata rievocando in continuazione la categoria degli ex. “Ora è il turno degli ex renziani, categoria alla quale certo non posso appartenere. Ne ho visti tanti in questi anni, di renziani, ma io proprio non lo sono mai stato”. Precisato questo, Fioroni aggiunge: “Utilizzare la categoria di ex renziani come capro espiatorio e per associarla all’idea di male assoluto è un modo come un altro per cercare di accompagnare alla porta qualcuno che viceversa dovrebbe essere ringraziato. I cosiddetti ex renziani, cioè Base Riformista, hanno scelto il Pd senza seguire Renzi nell’esperienza di Italia viva. Chi li vuole accompagnare alla porta fa un danno al Pd. E un Pd senza i cattolici democratici, i liberal democratici, i riformisti e i socialisti è un Pd senza la pluralità e quindi un Pd più povero”.

 

Fioroni ricorda di averci creduto talmente tanto al progetto che, all’epoca della stagione del popcorn, “io votai contro l’iscrizione ai socialisti europei. L’ho fatto perché ero convinto che servisse un soggetto politico nuovo, che doveva avere l’ambizione di andare oltre il passato e costruire una nuova famiglia europeo; non farlo fu un errore”. Il rapporto con Giuseppe Conte, che adesso diventa capo del M5s, va rivisto? “Io credo che il Pd abbia l’obbligo di declinare chi è e che cosa intende fare. Commette un errore chi pensa di potere eludere la risposta a questo problema politico (siamo o no ancora convinti delle scelte di 13 anni fa? Abbiamo il coraggio di essere altezza di quelle scelte?), definendo chi siamo in base alle alleanze. I Cinque stelle possono essere sicuramente, in certi tratti di strada, dei nostri compagni di viaggio, ma io non credo che il Pd possa rinunciare a rappresentare o a competere con gli altri per rappresentare quelle infinite praterie che vanno ben oltre la semplice sinistra”. D’altronde, dice Fioroni con una battuta, “non mi metto certo a cercare chi ha detto che la soluzione fosse ‘o Conte o voto’ o, come dico io scherzando, ‘o Conte o morte’. Non vado cercando il copyright, anche perché ho sempre rifiutato la ricerca dei capri espiatori, quindi guai a crocifiggere qualcuno. Ora però, siccome Conte ci ha appena detto che sta nei Cinque stelle, gli stessi che dicevano ‘o Conte o morte’ adesso ci dicono che Conte è la nostra morte. Non è possibile. Moro diceva che la politica deve cogliere il segno dei tempi. Ora, lui coglieva anche i segni microscopici e grazie a questi innovava e ammodernava la Dc. Noi non dobbiamo neanche interpretare dei piccoli segni, visto è arrivato lo tsunami dei tempi”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.