Il caso

Salvini esprime solidarietà agli agenti condannati per tortura

David Allegranti

Il leader della Lega oggi a San Gimignano: "Incontrerò i servitori dello Stato che sono stati condannati. Le sentenze non si commentano ma conosco il lavoro degli agenti della polizia penitenziaria, che fanno uno dei lavori più difficili al mondo. Meritano rispetto"

L’aveva detto già nel 2019, da ministro dell’Interno: “Tra le guardie e i ladri sto dalla parte delle guardie”. Oggi Matteo Salvini torna a San Gimignano, al carcere di Ranza, a due settimane dalle condanne per tortura per dieci agenti di polizia penitenziaria. Lì, dice il leader della Lega Salvini, “incontrerò anche i servitori dello stato che sono stati condannati. Le sentenze non si commentano ma conosco il lavoro degli agenti della polizia penitenziaria, che fanno uno dei lavori più difficili al mondo. Meritano rispetto. Tra tutti gli uomini e le donne che ho incontrato in questi anni durante i miei incontri non ho mai avuto la sensazione di incontrare dei torturatori o dei violenti”.

La questione però non riguarda le generiche sensazioni del senatore Salvini, ma un processo che c’è stato e ha portato a delle condanne, intanto in primo grado, per tortura. Due sono stati condannati a 2 anni e 3 mesi, uno a 2 anni e otto mesi, tutti gli altri a 2 anni e 6 mesi. Gli agenti sono stati inoltre interdetti dai pubblici uffici per la durata della pena. Ma Salvini aveva già deciso nel 2019 che gli agenti accusati sono innocenti.  “Qualunque detenuto che si alza la mattina con voglia di vendetta può denunciare, poi se poi trovi Procura particolarmente attenta…”, ha detto ancora Salvini con fare minaccioso: “Sulla Procura di Siena ci sarebbe molto da dire, da David Rossi in giù, più di una cosa non ha funzionato, ne parlerò con il ministro direttamente”, laddove il ministro è quello della Giustizia Marta Cartabia. Eppure, spiega Sofia Ciuffoletti al Foglio, garante dei diritti delle persone private della libertà personale a San Gimignano, “la civiltà  giuridica nasce sul principio che il sovrano non sia legibus solutus, non sia immune dalle leggi che lui stesso pone. Lo stato e i suoi servitori devono essere sottoponibili al vaglio giurisdizionale per la violazione delle leggi dell’ordinamento. Confido che il senatore Salvini, che è  parte integrante di questo stato e adesso esponente di una forza di governo, voglia convenire sul fatto che nessun agente dello stato possa essere immune da responsabilità”. Salvini ha aggiunto che “cambiare la normativa a livello nazionale è urgente” e che parlerà con la ministra Cartabia per modificare “il sistema”, qualsiasi cosa voglia dire. Nel frattempo, la Lega starà vicino ai “ragazzi coinvolti” (gli agenti condannati) parlando con i loro avvocati, perché non puoi “essere condannato sulla parola di un mafioso o di un camorrista”. “Sono stupita — dice Ciuffoletti — dal fatto che lo stesso sistema giuridico che contribuisce a produrre le etichette a cui il senatore Salvini si riferisce con il sussiego dell’ ‘uomo che se ne va sicuro’ –  i delinquenti, i camorristi e i mafiosi –  vada delegittimato e minacciato quando tocca i ‘ragazzi coinvolti’, introduce il reato di tortura (che, oggi apprendiamo, sarà  oggetto di ‘urgente’ modifica normativa) e ‘rovina le famiglie’.   Da garante dei diritti delle persone private della libertà  personale penso invece che la realtà  sia complessa, che le garanzie di tutela di ogni persona sottoposta a procedimento penale o privata della libertà  siano la base della civiltà  giuridica e debbano valere per chiunque. Valgono anche e questa è rassicurazione più forte di qualsiasi visita di Salvini, per gli agenti imputati dei fatti di San Gimignano”. Il senatore Salvini, aggiunge Ciuffoletti, “ci mostra la fallacia del luogocomunismo: le guardie e i ladri, i camorristi e i bravi ragazzi, i delinquenti e gli onesti lavoratori, la procura politicizzata e la pazienza che è finita, fare il proprio dovere con prudenza, ma tanto i garanti vengono sempre per primi, le sentenze non si commentano, ma chi non ama le divise cambi mestiere. Tra queste parole e la realtà passa tutta la differenza che c’è tra la (non) ‘sensazione di torturatori’ del senatore Salvini quando incontra gli agenti di polizia penitenziaria (e la cosa chiaramente rassicura) e una condanna penale (ripetiamo non definitiva) per il reato di tortura. E tuttavia una cosa tocca chiarirla (per evitare che diventi un altro luogo comune): quando si dice che questo è l’unico caso di tortura da parte di 15 agenti senza il torturato, si mostra di non conoscere il fenomeno della tortura di stato all’interno delle istituzioni totali. La vittima raramente denuncia perché, da persona razionale, teme che, dopo esser stato maltrattato senza ragione da pubblici ufficiali in un luogo che dovrebbe tenerlo indenne da violenze (cito Mauro Palma: «si va in carcere perché si è puniti e non per essere puniti») la denuncia fatta all’interno dello stesso contesto detentivo, dove pure deve continuare a permanere, non sia lo strumento più efficace di tutela. È un fenomeno di inversione percettiva basato sul rischio di ritorsioni. Ecco, dobbiamo lottare per un carcere in cui tali fenomeni non si verifichino”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.