Antonio Catricalà (foto Vincenzo Livieri - LaPresse) 

Catricalà il modernizzatore

Giuseppe De Filippi

L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio ed ex garante dell'Antitrust sapeva bene che toccare equilibri richiedeva saggezza e prudenza

Antonio Catricalà nel suo percorso attraverso lo stato, la regolazione pubblica e qualche digressione nel privato, ha schivato molto e ottenuto altrettanto. Nel maggio del 2012 si è dovuto affidare a Twitter per dire che non sarebbe andato a guidare l’Agcom, a un’altra autorità, quella dell’elettricità e del gas, di cui era stato indicato come presidente, rinunciò dopo nove giorni, alla Corte costituzionale – pure se designato dalla dirigenza di Forza Italia, anche grazie al suo forte legame di fiducia con Gianni Letta, e in tandem con Luciano Violante, espresso dal centrosinistra – non arrivò, sfilandosi poi lui stesso dalla contesa, perché la stessa capacità decisionale del Parlamento si era inceppata.

    

Tra le tante nomine smentite o rifiutate e le altrettante accettate (anche nel privato, come presidente in carica di Adr) è stato uno dei principali modernizzatori dell’Italia, secondo un processo di rinnovamento parallelo a quello comunemente usato per indicare le nostre cesure storiche. Perché se il 1992 e Mani pulite hanno sconvolto e poi trasformato l’offerta politica e la distribuzione del potere, è vero anche che un altro cammino verso il ricambio del modo di operare nella sfera pubblica era già partito, e in modo autonomo rispetto alla stagione delle procure.

  

È dalla fine degli anni Ottanta che persone come Catricalà, allora quasi quarantenne, consigliere di stato già dal 1982 e tra i giovani leoni del Consiglio in quegli anni, hanno realizzato questa operazione, importando, ad esempio, nell’Italia ancora poco avvezza agli schemi moderni della regolazione, il metodo delle authority.

  

L’Agcom, ad esempio, l’aveva un po’ inventata Catricalà insieme ad Antonio Maccanico. L’avevano disegnata come una specie di start-up istituzionale e ha sempre raccontato con orgoglio di esserne stato il primo segretario generale. Stesso atteggiamento portato nella presidenza dell’autorità Antitrust, dopo aver predicato per anni, già da consigliere di stato, la necessità di immettere nel sistema economico italiano una maggiore quota di concorrenza.

   

Catricalà non nasceva certamente nel novero dei liberisti e aveva anzi una formazione in cui si dava preminenza al ruolo pubblico e forte rilievo alla regolazione, ma cercava con impegno tutti gli spazi in cui la concorrenza potesse avere effetti percepibili dai consumatori. Sapeva bene, da tecnico antitrust, che toccare equilibri richiedeva saggezza e prudenza. Una sera, la sua autorithy da poco aveva modificato le regole per le farmacie a vantaggio dei dipendenti e contro i proprietari, si trovò davanti a un farmacista che abbassava la serranda.  “Ma lei è Catricalà?”, gli fa l’uomo in camice, e la risposta fu un prudente “dipende”.

 

Innovatore, ma con giudizio, anche nei ruoli più politici, a partire da quello di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e di fatto una delle sue menti giuridiche, nel governo di Mario Monti. E ancora come titolare della delega alle Comunicazioni. Sapeva bene che l’Italia si poteva rinnovare solo per gradi e costruendo solide basi giuridiche e altrettanto solide istituzioni su cui reggere il rinnovamento. È stato un uomo spiritoso e di grande intelligenza, con un enorme amore per le sue figlie. Qui ci fermiamo, perché le ragioni di chi punta a 69 anni una pistola contro se stesso sono sempre e solo insondabili.

  

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