(foto LaPresse)

come si vestono i ministri

Anatomia del governo Draghi in una foto

Simonetta Sciandivasci

La compagnia dei 23. Tra sorrisi tecnici e gioie impreviste

Sì, ne valeva la pena. E di certo ne è valso il tailleur. I ministri hanno giurato in abito scuro e mascherina, così che non si sono viste le rughe, i sorrisi, i ghigni, le forzature. Si sono visti i capelli, gli anelli (pochi), i bracciali (pochissimi, tranne quelli della neo ministra alle Politiche Giovanili, Fabiana Dadone: troppi), le giacche, gli occhi, le mani. Si sono viste le intenzioni, come a ogni sfilata di moda si vede quello che uno stilista pensa, che idea di mondo propone, chi per lui saremo e non come ci vestiremo. Uniti e composti come una bandiera, i ventitrè di Draghi non si sono concessi nemmeno un vezzo, uno scintillio, un guizzo, una firma, un’autentica. Una squadra, non un insieme di individui. Amici temporanei e proprio per questo affiatati, seri.  Niente pochette, scarpe vistose, vestiti colorati, guizzi: nessuno ha voluto far parlare di sé, rendersi riconoscibile, distinguersi. Le ministre (otto: poche, quasi tutte di destra) erano tutte in bianco e nero, i colori dei fogli scritti, delle cerimonie istituzionali, i colori che indossa chi decide e fa. La sola giacca grigia l’ha messa Erika Stefani, ministra alle Politiche della Disabilità, che insieme a Dadone è stata l’unica in gonna, mentre le altre erano tutte in pantaloni, in divisa impeccabile da lavoro e da onere. Flavia Fratello ha scritto che lo hanno fatto per evitare il body shaming – Teresa Bellanova giurò in blu elettrico e venne insultata per giorni, ci mancò poco che le chiedessero le dimissioni. Forse. O più semplicemente lo hanno fatto per evitare le chiacchiere, per non lasciarci niente da dire e darci soltanto da pensare, per tenerci in silenzio, che non significa azzittirci. Questo sarà il governo del silenzio operoso, Filippo Ceccarelli ha scritto che di Draghi nessuno conosce la voce e in questo dettaglio c’è tutto, perché “il potere vero non ha bisogno di parlare: più grande è, più silenziosamente agisce”. 

 

Elena Bonetti (foto LaPresse)

 

I vestiti delle ministre, così come quelli dei ministri, oggi, non hanno parlato: hanno incartato un’intenzione, aderito a un progetto, unito un gruppo. La cravatta rossa rossissima di Andrea Orlando e quella nera nerissima di Renato Brunetta, il Fantuttone, erano evidenti ma non invadenti. Simpatiche ma non programmatiche. Presenti ma non eloquenti. Come tutti gli altri dettagli, tutti rassicuranti e confermativi, come la cravatta turchese e molto montiana di Vittorio Colao, neo ministro all’Innovazione tecnologia, e la pochette bianca di Giuseppe Conte, che alla cerimonia della campanella ha sorriso, forse persino sinceramente, senza gonfiarsi il petto. 

 

Fabiana Dadone (foto LaPresse)

 

Ne valeva la pena. Ventitrè ministri in blu e nero e bianco, vestiti da persone pronte e di mondo, persone dalle quali compreremmo una macchina usata ma soprattutto alle quali daremmo i nostri soldi per comprarne una nuova. Ventitrè adulti con tutto da dimostrare. Sicuri. Precisi. Con l’ego in tasca, chiuso, sigillato, invisibile. Molto elegante e dimesso persino Giorgetti, uno che abbiamo visto, collegato con Floris, in tuta. Il più sportivo: Patrizio Bianchi, con il pullover sotto la giacca, da imprenditore di provincia. Tutti: compagni di scuola. In divisa. In tenuta d’azione e apprendimento. 

 

(foto LaPresse)

 

Mentana ogni tanto faticava a riconoscerli, commentando la diretta, non solo per colpa della mascherina, ma per via dell’unità di vestizione. Unità, non conformità, né anonimato, né anedonia, né noia, né freddezza. Anche solo da guardare, questo governo che ieri sera sembrava deluderci perché ci aspettavamo l’impeto e l’assalto, ora ci sembra affascinante, promettente, protettivo. E bello, ed elegante, e galante. Ci chiede di non fare pettegolezzi: non ne faremo. Però. Però nel silenzio dell’osservazione una cosa s’è notata, non appena le mascherine sono calate (quanto sono utili le mascherine: prevengono, calmierano, difendono, contengono, recitano splendidamente), non appena i ministri si sono messi in posa per fare la foto e si sono mostrati a misura intera, dal primo giorno di scuola s’è passati al Natale in famiglia e i dissapori, gli scontenti, e la radiografia degli umori è emersa. Hanno sorriso apertamente i leghisti: Giorgetti in posa da podio olimpionico, Stefani rilassatissima, Garavaglia quasi sexy. L’agnizione migliore è stata la loro e sono stati premiati come si premiano i bimbi quando cambiano i denti, perché stanno crescendo, forse migliorando. Il Pd, invece, ha malcelato lo scontento: Guerini torvo, Speranza rigido e rugoso come un calanco, Orlando addirittura mascherinato (l’unico) e con lo sguardo basso. Hanno sorriso i tecnici, Cartabia più di tutti: dovranno spendere, non tagliare. Sanno che sarà più facile amarli.
 
Ps. Ventitrè è il numero di Michael Jordan. Qualcosa vorrà pur dire. 

 

(foto LaPresse)

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.