Ora il paese a un'eccellenza riconosciuta

Mara Carfagna

I governi retti su patti larghi nel nome del Paese hanno guidato l'Italia in molte grandi emergenze, ma nella crisi di oggi manca ancora una chiamata alla responsabilità collettiva

Al direttore - L’esperienza italiana nel governo delle emergenze – intendo le grandi emergenze, terrorismo, tangentopoli, crisi dello spread – è storicamente legata a patti larghi nel nome del Paese. Giulio Andreotti, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, sono i nomi che si intestarono le azioni di salvataggio più complicate e memorabili. In tutte e tre le occasioni nacque un chiaro spartiacque tra i partiti: da una parte le forze capaci di intestarsi responsabilità nell’ora più buia, dall’altra quelle (di solito una modesta minoranza) che preferivano coltivare comunque la loro identità di opposizione. Questa è la prima crisi in cui lo stato d’eccezione – una pandemia da 500 morti al giorno, un milione di potenziali disoccupati, un precipizio del pil del 10 per cento – viene sostanzialmente ignorato dai partiti, come se fosse trascurabile elemento del dibattito.

 

La forza di maggioranza relativa, cui spetterebbe trovare una soluzione “alta” (il M5s), sta trattando la pratica della crisi come se fosse uno qualsiasi dei rimpasti balneari degli anni 80. Il Pd idem. E per il momento l’opposizione, specialmente nella parte con sensibilità di governo (FI e Lega), aspetta ancora a compiere il passo che il Paese si attende: una chiamata alla responsabilità collettiva in nome del futuro italiano. Sono convinta che succeda per i soliti motivi (egoismi di partito o personali) ma soprattutto per una ragione nuova. Il Covid ha privato tutti noi, tutti coloro che possono fregiarsi del titolo di “classe dirigente”, degli ultimi brandelli di contatto con il Paese reale. Se fosse attivo il consueto standard della democrazia, se sedessimo – come abbiamo fatto per anni – nei convegni delle piccole e grandi imprese, nei congressi delle categorie, nelle platee delle manifestazioni di partito, persino alle presentazioni di libri e saggi, la voce del “mondo reale” ci arriverebbe più chiara. E dubito che ci direbbe: ma sì, va bene così, continuate col vostro tran-tran.

 

L’incarico esplorativo a Roberto Fico offre a tutti la possibilità di aprire gli occhi e le orecchie e di valutare se la terza riedizione di un premierato sorretto da una maggioranza fragile e litigiosa sia davvero quel che vuole il Paese, la risposta giusta allo stato d’eccezione che viviamo. Io penso di no. Sono convinta che, se non ci fosse il Covid e gli italiani avessero modo di manifestare il loro pensiero, farebbero sentire forte la loro voce di dissenso verso tutti i protagonisti della trattativa di questi giorni. Sono sicura che il Nord produttivo e il Sud terrorizzato da una nuova ondata di disoccupazione, chiederebbero a noi, agli altri, a tutti, di affidare il Paese a una eccellenza riconosciuta, in Italia e in Europa, e stipulare un patto per la salvezza. Manca un giorno alla fine dell’“esplorazione”, che sembra poco ma in politica è uno spazio sufficiente per cambiare le cose in modo sostanziale. Spero se ne abbia il coraggio, tutti, a cominciare da chi ha in mano i “numeri” parlamentari per aprire una diversa stagione.

 

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