“Così difenderemo la scuola dal virus”

Claudio Cerasa

I prossimi passi sulla chiusura del paese, le promesse sul Recovery e l’assist all’opposizione per collaborare. “Il Mes? Al momento non ci sono condizionalità”. Intervista al presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Festa del Foglio

    Presidente Giuseppe Conte, benvenuto alla Festa del Foglio. Inizierei subito la nostra chiacchierata partendo dalla parola d’ordine della nostra giornata che è “ottimismo” e le chiederei subito se ci conferma, a proposito di “ottimismo”, quello che le abbiamo sentito dire qualche giorno fa, ovverosia che “se tutto va bene avremo le prime dosi di vaccino a inizio dicembre”. Glielo chiediamo da ottimisti incalliti: ma sul vaccino non è stato troppo ottimista? “Guardi – dice Conte al Foglio – ancora l’altro ieri abbiamo avuto una videoconferenza  con tutti i leader europei e le istituzioni comunitarie e Ursula von der Leyen ci ha aggiornato per quanto riguarda la ricerca sui vaccini. Ci sono dei contratti sottoscritti che prevedono delle consegne, ovviamente non tutte le dosi che ci farebbero comodo per contenere l’epidemia. Questo però non toglie che, come voi sapete, c’è un’agenzia europea, in questo caso l’Ema, che sta effettuando adesso il cosiddetto ‘rolling review’. Noi confidiamo di averlo  a dicembre, però dobbiamo anche comprendere che ragionevolmente arriverà qualche milione di dosi per paese, quindi dovremo fare un piano, all’interno di ciascun paese, e condividerlo anche a livello europeo per intervenire subito sulle fasce più fragili e vulnerabili della popolazione, gli operatori sanitari ad esempio, che sono più esposti al rischio, e poi via via man mano che le dosi si liberano e si rendono accessibili anche per le altre categorie, penso alle forze di polizia e alle forze di sicurezza. Dobbiamo fare un piano anche qui: noi confidiamo di averlo già per dicembre, ma non significa che a dicembre avremo tutti il vaccino. Per quello, per avere in Europa le centinaia di milioni di dosi che abbiamo contrattualizzato dovremo aspettare chiaramente primavera”. 

     
    Presidente, lei negli scorsi giorni ha affermato che l’Italia si trova all’interno dello scenario 3. Lo scenario 3, secondo quanto è scritto nero su bianco nel protocollo firmato dal governo con le regioni il 12 ottobre. prevede, quando i rischi sono alti come lo sono oggi, la necessità di privilegiare, come misure straordinarie di contenimento, restrizioni locali temporanee su scala subprovinciale. E’ corretta questa fotografia per mostrare la direzione scelta in questo momento dal governo o c’è qualcosa in più che ci può dire? “Stiamo realizzando questa strategia, nel senso che  a livello di governo nazionale abbiamo adottato un quadro di misure restrittive, ci sono anzi 3 dpcm che purtroppo, vista la rapida ascesa dell’epidemia, si sono succeduti in un arco temporale molto ristretto, ma nel frattempo non vi è sfuggito che a livello regionale ci sono i governatori che stanno adottando delle misure ancor più restrittive, quindi il reticolo attuale si compone di un quadro nazionale che comunque contiene misure atte a contenere il contagio e a mitigare questo rischio di contagi. Io l’ho sempre detto, e il nostro metodo di lavoro, i criteri sono sempre quelli: massima precauzione, adeguatezza, proporzionalità”. 

     
    Ma rispetto a questa fase pandemica, presidente, qual è la cosa che più la preoccupa? “Ma guardi, la preoccupazione ovviamente è l’impennata della curva, come sta preoccupando anche gli altri leader europei. Non abbiamo mai dismesso l’attenzione, la vigilanza, gli investimenti: per quanto ci riguarda,  ci aspettavamo  questa seconda ondata. E abbiamo continuato a investire sulla sanità. Abbiamo continuato a investire sulla scuola, quest’estate abbiamo chiesto la proroga dell’emergenza anche quando a luglio tutti quanti erano, giustamente da un certo punto di vista, più rilassati: avevano bisogno  di rilassarsi psicologicamente. Il governo, devo dire la verità, non è mai andato in vacanza, non è mai andato in vacanza Arcuri, e tutti i presìdi della Protezione civile sono rimasti  vigili. Eravamo consapevoli che con l’autunno vi erano buone probabilità che sarebbe tornata una nuova ondata. Ma non c’è un manuale, non c’è una palla di vetro, i numeri sono molto preoccupanti, come sono molto preoccupanti in tutta Europa, ci sono paesi che stanno anche molto peggio di noi. Ma questo ovviamente non ci può consolare affatto”. 

     
    E’ evidente che questa pandemia è stata come uno stress test sull’efficienza del paese e del governo. In queste settimane alcuni problemi sono emersi con chiarezza, pensiamo ai ritardi con cui sono stati fatti tamponi di massa, il tracciamento, pensiamo anche al ritardo con cui stanno arrivando i vaccini anti-influenzali. Quali sono secondo lei gli errori commessi da questo governo dai quali si può imparare qualcosa per non ripeterli in futuro? “Quando ragioniamo sulle azioni del governo e su quello che si poteva fare di più, non abbiamo un termine di riferimento. Faccio un esempio, lei ha parlato dei test, se si poteva fare di più. Considerate che a marzo noi facevamo 26 mila tamponi al giorno, oggi ne facciamo circa 215 mila, e nel frattempo ci siamo attrezzati per fare in poco tempo 200 mila tamponi molecolari al giorno e 100 mila test rapidi antigienici. Le potrei parlare ad esempio delle mascherine che produciamo. Abbiamo sin qui distribuito 554 milioni di mascherine, lo stato eh, attenzione, non i privati, lo stato. E così via. E su ogni filiera di intervento le potrei dare dei numeri  impressionanti. Ovviamente alcuni di questi numeri non sono ancora adeguati allo sforzo che il paese sta facendo ma è uno sforzo complessivo, perché nessun paese è pronto alla pandemia, nessuna democrazia occidentale che non venga affidata a una gestione militarizzata, che peraltro dovrebbe prevedere un’organizzazione per tempo, quindi dovrebbe prevedere i tempi di una pandemia, può sopperire con la massima efficienza all’onda d’urto che una pandemia porta. Noi stiamo facendo tutto il possibile, siamo impegnati notte e giorno per farlo e continueremo a farlo. Su tutto questo io posso contare sullo sforzo di tutti i cittadini, c’è molta più stanchezza con questa seconda ondata, c’è molta più frustrazione, c’è anche rabbia, c’è  angoscia, c’è disperazione, rispetto alla prima fase forse molti cittadini sono più disorientati. Ma pure oggi possiamo vedere dei lati positivi: molti ad esempio rispettano le regole, voglio parlare anche di bar e ristoratori che hanno sofferto per queste ultime misure restrittive, ho tante testimonianze, anche di ristoratori che pur esponendo il disagio hanno detto noi chiudiamo alle 18, comprendiamo la gravità della situazione e non mancheremo al rispetto delle regole. E così i cittadini, se voi girate per strada, la stragrande maggioranza dei cittadini mette la mascherina, anche di giorno, nonostante la fatica e qualche impaccio nella respirazione: ancora una volta il paese sta dimostrando una grande capacità, un grande senso di responsabilità, con tutte le difficoltà, anche le proteste che ci sono”. 

     
    Presidente, quando mi riferivo al tema dei tamponi mi riferivo anche al fatto che un paese come la Germania è riuscito a fare circa 200 mila tamponi al giorno  un mese prima di noi, quindi mi chiedevo come mai non siamo riusciti a essere così efficienti come la Germania. “La Germania si è ritrovata con un numero di posti in terapia intensiva che credo sia tre, quattro volte il nostro. Io non posso adesso rispondere anche dei tagli che sono stati fatti al Servizio sanitario negli anni passati. E’ stata fatta in passato una politica, con l’accetta, per cui ci siamo ritrovati 5.179 posti in terapia intensiva, la Germania ne aveva molti di più. Quando facciamo paragoni facciamoli anche con i dati di partenza rispetto alla pandemia, oppure facciamoli anche con tutti gli altri paesi che non riescono a fare 215 mila tamponi in un giorno come noi”. 

     
    Presidente siamo alla Festa dell’ottimismo e dobbiamo provare a guardare al futuro. E nel futuro c’è un orizzonte politico interessante che lei stesso ha delineato più volte in queste settimane, che riguarda il nuovo rapporto con l’ opposizione. E’ in grado di formulare una proposta chiara e comprensibile per spiegare in che modo si può andare a declinare in questa stagione storica una fase di unità, di solidarietà nazionale?  “Ho chiamato i presidenti della Camera e del Senato, ho detto loro, con tutto il rispetto per l’iniziativa delle Camere, se c’è la possibilità di avere uno strumento, un momento in cui confrontarsi in tempi rapidi, celeri con il Parlamento. E’ un’esigenza avvertita anche dal governo quella di doversi confrontare con il Parlamento, quindi con forze non solo di maggioranza ma anche di opposizione, per potereavere un confronto con il Parlamento quando ci sono decisioni da assumere in tempi rapidi. I due presidenti mi hanno detto che al più presto mi faranno sapere, nel frattempo non vi sarà sfuggito che per l’adozione dell’ultimo dpcm, nel corso di una giornata intensissima io ho assunto l’iniziativa, sempre avvertendo i presidenti delle Camere, e ho proposto un incontro con i capigruppo di maggioranza e opposizione. Abbiamo avuto un lungo colloquio, durante il quale ho esposto loro quelle che erano le misure sino a quel punto, era sabato pomeriggio, e sulle quali ci stavamo orientando. Addirittura quindi non ho proposto un pacchetto chiuso di misure, eravamo ancora in fase di decisione. Dopo questo colloquio ho raccolto delle sensibilità sulle misure restrittive, ad esempio sulle misure che limitavano gli spostamenti inter-regionali, li ho riportati al tavolo governativo. Io ho esplicitamente detto ‘questa misura non gode del favore di molti esponenti dei capigruppo di maggioranza e opposizione’, poi abbiamo acquisito ulteriori passaggi nel confronto con le regioni. Alla fine quella misura è stata esclusa. Se avessimo un tavolo di confronto in questi termini, uno certificato dal Parlamento, che ci consenta di agire in tempi rapidissimi, perché tali sono i tempi delle scelte, il governo sarebbe ancora più sereno di prendere delle decisioni coinvolgendo tutti gli attori”. 

     
    Presidente, parlare del futuro in questa fase significa anche scegliere come prepararlo dal punto di vista economico. Come si trasforma una crisi in opportunità? “Che la crisi debba essere trasformata in opportunità lo ripeto come un mantra da mesi, già dal periodo del lockdown. E’ per questo che abbiamo lavorato subito e registrato la risposta europea di disporre nuove risorse, per questo per il Recovery fund stiamo lavorando alla digitalizzazione del paese, banda larga e ultralarga, dobbiamo digitalizzare la pubblica amministrazione, per renderla più efficiente e dobbiamo completare il processo di transizione energetica. Certo, a questo dedichiamo tutte le risorse cospicue che avremo dall’Europa per quanto riguarda il Recovery plan italiano e in più ovviamente adesso abbiamo anche le risorse in bilancio. Però attenzione, è chiaro  che oltre a questo occorrono le misure di protezione  e tantissimi economisti hanno detto che l’Italia è un modello per come ha affrontato la crisi. I numeri del terzo trimestre ci hanno dato ragione e quel 16,1 per cento in più è un dato davvero impressionante in questo periodo”. 

     
    Esiste una parte del mondo del sindacato che proprio ragionando sulla protezione necessaria in una fase di incertezza come questa sarebbe disposta anche a chiedere al governo una reintroduzione dell’articolo 18. E’ un tema all’ordine del giorno? “L’articolo 18 non è sul tavolo e non è all’ordine del giorno”.
     Rispetto al tema del Recovery fund, alcuni paesi come la Spagna hanno lasciato intendere di essere interessati al momento più alla parte di sovvenzioni a fondo perduto che a quella legata ai prestiti. Il governo che lei guida chiederà entrambe le forme dei finanziamento o privilegerà le sovvenzioni a fondo perduto? “Chiaramente i sussidi li prenderemo tutti e chiederemo pure i prestiti. Noi abbiamo un’impostazione differente. I prestiti ci saranno utili per realizzare quel progetto di trasformazione del paese. Noi guardiamo al nostro sistema articolato e complesso, abbiamo tanta carenza di strutture. Se guardiamo agli ultimi 15-20 anni correvamo meno della media europea: dobbiamo correre di più e non è solo una questione di pil. Siamo molto ambiziosi, dobbiamo approfittare della crisi per perseguire un modello di sviluppo sostenibile, completamente diverso rispetto al passato e che non guardi solo gli indici economici, ma anche la qualità della vita dei nostri cittadini”.

     
     Il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, tempo fa, in una audizione alla Camera, sull’annoso tema del Mes ha detto quanto segue: “Le condizionalità macro-economiche del fondo Salva stati che hanno caratterizzato la crisi precedente sono state ora eliminate per questa linea di credito straordinaria destinata alla sanità”. Non le chiediamo se l’Italia prenderà o no il Mes. Le chiediamo se la posizione di Gentiloni sia corretta, cioè se il Mes non presenti condizionalità se non l’obbligo di spendere quei fondi nella sanità. “Ha ragione Gentiloni: al momento non ci sono condizionalità, è una nuova linea di credito all’interno di un meccanismo che a noi non ci ha mai entusiasmato e questo credo sia un discorso collettivo in Italia. Una linea di credito che non si porta appresso le condizionalità dell’intero meccanismo del passato”.

     
     E allora perché il suo governo non prende il Mes? “Ho risposto 30, 40, 50 volte. Questa volta, anche a costo di essere maleducato, mi rimetto alla mia ultima risposta”. 

     
    Presidente, siamo quasi in conclusione. Possiamo dire che la pandemia ha costretto l’Italia a entrare in un grande acceleratore del futuro e si può dire che lo smart working faccia parte di questo processo. Nel privato si è visto che le aziende si sono impegnate a diventare più efficienti, ma molti che lavorano nel privato affermano che nel pubblico invece lo smart working ha aumentato l’inefficienza, provocando una specie di “pandemia burocratica”. Secondo lei come si può nei prossimi mesi, in cui convivremo ancora con questo problema, rendere la Pubblica amministrazione efficiente con lo smart working? Come si fa? “La digitalizzazione del paese è una priorità che renderà molto più efficiente la Pubblica amministrazione ed è per questo che nelle nuove assunzioni chiederemo competenze digitali e apriremo alle nuove discipline, anche le scienze dure come ingegneria, fisica, matematica. Abbiamo bisogno anche di quello, lo dice un giurista. Nella Pubblica amministrazione non possono andare solo giuristi, occorrono matematici, ingegneri elettronici. Dobbiamo potenziare tutta la parte digitale della Pubblica amministrazione per renderla più efficiente. E’ chiaro che in prospettiva da questa esperienza quando andremo a fare una valutazione che diventerà poi una valutazione strutturale, potremo sicuramente integrare lo smart working nel disegno di una Pubblica amministrazione efficiente”. 
    In tutta Europa una delle più grandi differenze tra le prime chiusure e le seconde chiusure, parliamo ovviamente di lockdown, è il tema della scuola. L’Irlanda ha chiuso il paese di nuovo ma l’ha fatto tenendo aperte le scuole, lo stesso la Francia, lo stesso la Germania. Non le chiedo cosa farà il governo perché è difficile prevederlo. Le chiedo cosa ne pensa delle scelte di questi paesi di considerare l’apertura della scuola quasi come un messaggio simbolico di speranza verso il futuro. E’ un tema  non solo epidemiologico ma culturale, forse. “Non è solo un tema culturale. Non stiamo solo parlando di cinema e teatri aperti, avremmo anche noi voluto mantenere i presidi culturali, ma la situazione ci ha costretto a fare dei sacrifici che più o meno tutti dobbiamo sopportare. Il punto è un altro: nella scuola il piano di offerta formativa a distanza rischia di oscurare un altro punto: le relazioni interpersonali. A scuola i ragazzi diventano uomini e le ragazze donne e mettono le premesse per un percorso di formazione umana perché appunto interagiscono. Gli apparecchi elettronici non ci restituiscono le relazioni interpersonali. Bisogna parlarsi e guardarsi negli occhi. Non c’è solo un presidio astratto, l’affermare il valore della scuola, perché la didattica a distanza col presupposto che tutti possano connettersi correttamente può essere sicuramente di ottimo livello ma non può dirsi completa per le ragioni che ho detto. Ecco perché abbiamo investito molto nella scuola: all’inizio dell’anno 8 miliardi. Abbiamo passato tutta l’estate oltre che sul sistema sanitario anche sulle scuole. Proprio per assicurare condizioni di sicurezza e permettere ai ragazzi di poter interagire contemporaneamente in presenza. Detto questo dobbiamo prendere atto che la curva epidemiologica sta assumendo un’impennata così ripida che ovviamente rischia di mettere in discussione anche la didattica in presenza e stiamo vedendo che alcuni presidenti di regione hanno già optato per questo. Non è il nostro obiettivo. Noi riteniamo di dover continuare a difendere la didattica in presenza. Ma dobbiamo mantenerci anche nel senso dell’adeguatezza e proporzionalità, vigili nel perseguire e assicurare l’obiettivo primario: la sicurezza del Paese. La tutela della salute e la protezione del tessuto economico”.  

     
    Presidente, a proposito di sicurezza: se lei dovesse accompagnare suo figlio a scuola con i mezzi pubblici sarebbe preoccupato o no? “Ci sono delle criticità, le abbiamo registrate e io non le ho negate. Abbiamo visto che, soprattutto in alcune fasce orarie di alcune grandi città ci sono delle criticità. Se dobbiamo parlarci chiaramente, perché chi ci segue deve guardare la realtà, certo: dobbiamo ammettere che ci sono momenti in cui non è facile rispettare le distanze o addirittura non si riescono proprio a rispettare. Ma sapete cosa significa rispettare le distanze di massima sicurezza all’interno di un vagone di una metro o di un autobus? Significa triplicare, quintuplicare, decuplicare il numero dei vagoni e degli autobus. Sapete quali sono le cifre? Sono miliardi e miliardi che non possiamo neppure immaginare. Ovviamente abbiamo lavorato molto per favorire modalità alternative, abbiamo per esempio investito 120 milioni, dati alle regioni affinché potessero incrementare l’offerta, e ci sono ancora altri fondi da spendere. Altri ne abbiamo posti a bilancio. Però è chiaro: non è che dall’oggi al domani possiamo moltiplicare il numero di corse su metropolitane che per altro per ragioni di sicurezza sono limitate. Questo vale per il trasporto ferroviario. Sui mezzi di trasporto locale su gomma si potrebbe fare di più, ma ci sono dei finanziamenti stanziati e confidiamo che si possa lavorare in questa direzione”.  

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.