Come ti riapro il talk-show

Marianna Rizzini

Sono ripartiti tutti e siamo sempre lì: al virus e al lavoro, al ritorno a scuola e al voto. Tra l’eterno bisogno di “dibattito” e il desiderio di “toni bassi”. Parlano i conduttori

E’ stata una prova generale, finora, questa è l’impressione. Finora il passaggio della pandemia, e il terremoto esteriore, interiore, sanitario, economico e politico che ha provocato, sono stati pensati e vissuti come eccezione, come se a un certo punto dovessero scorrere i titoli di coda: incubo finito, si ricomincia. E i mesi che stavano tra maggio e questo strano settembre sospeso tra un prima conosciuto e un dopo incerto sono stati al tempo stesso una tregua e un prologo. Ma che cosa succede adesso? Adesso, infatti, si deve ripartire davvero, e riaprire davvero le scuole, e fare davvero i conti con la crisi economica, e davvero tornare a votare, ma nelle urne e non con un clic. Che cosa siamo diventati, che cosa abbiamo o non abbiamo imparato e soprattutto, come ne usciremo? Abbiamo chiesto un parere e un aiuto a vedere oltre il caos di questi giorni a chi, da talk-show e tg, ha vissuto questi mesi dall’osservatorio televisivo. Ecco le loro risposte.

Bianca Berlinguer (foto Ansa)

Bianca Berlinguer (“Cartabianca” ha riaperto martedì 8 settembre, su Rai3): “Tutto è cambiato, talmente cambiato che non riesco a pensarla come chi dice che supereremo presto questo momento e ci ritroveremo nella nostra vita di prima. Supereremo questo momento, sì, quando arriverà il vaccino, e non sarà questione di due mesi. Ma io non credo che la nostra vita potrà mai tornare a essere quella di prima. Qualcosa ci è successo, anche dal punto di vista psicologico, già soltanto per la scomparsa di baci e carezze. E qualcosa è successo nella nostra società: molte persone rischiano davvero di restare per strada. Chi fa il nostro mestiere, poi, da quasi otto mesi si occupa quasi esclusivamente dei risvolti della pandemia – prima risvolti sanitari, poi risvolti economici. Non è mai successo di chiudere la stagione con una scaletta, a luglio, e di riaprire a settembre con gli stessi argomenti. Non sarà facile, mi dico adesso, raccontare un mondo che sta cambiando, anche perché non sappiamo dove tutto questo ci porterà. A partire dalla scuola: deve riaprire, forse doveva essere riaperta prima, ma ora dobbiamo rischiare. E’ necessario farlo, punto, se non si vuole che siano i più fragili a restare indietro: quelli che non possono essere seguiti dalle famiglie durante le lezioni online, quelli che non hanno gli strumenti tecnologici adatti. Anche per questo dico a me stessa e a chi fa questo lavoro che non dobbiamo concentrarci soltanto sul conteggio dei nuovi positivi ma cercare di capire come il passaggio del virus stia trasformando la nostra società e la sua organizzazione. E non mi pare che ci sia una vera ripartenza nel mondo politico: sia la maggioranza sia l’opposizione mi sembrano invece avvitate in dinamiche sempre uguali a se stesse, dalle alleanze al Mes al referendum: nessuno sa che cosa succederà dopo il voto, senza riforme collaterali, senza una riforma della legge elettorale. E comunque la cosa più urgente, ora, mi pare l’elaborazione di un piano credibile rispetto all’utilizzo dei fondi europei. Usiamoli bene, cogliamo l’opportunità che ci dà questa situazione, per quanto difficile, di risolvere problemi strutturali e carenze ataviche”.

Bruno Vespa (foto Ansa)
 

Bruno Vespa (“Porta a porta” ha riaperto su Rai1 dall’8 settembre): “Da questa esperienza abbiamo imparato che c’è sempre da imparare. Mi viene mente Oriana Fallaci, quando rievocava il giorno in cui l’astronave terrestre si posava sulla Luna, e un giornalista della sala stampa della Nasa ripeteva: ‘Non la so scrivere questa cosa. Non è una storia da giornalisti, ci vorrebbe Omero’. E io ricordo i giorni di quella che mi sembrava una specie di Via Crucis del Covid: Codogno, i cimiteri, le famiglie. Mi sentivo inadeguato a raccontare quello che vedevo, cose drammatiche e inedite, persone che si vedevano portare via i padri senza poterli poi rivedere da vivi. Una lezione di vita che, nell’assenza di certezze, ci invitava alla cautela. E ora, sempre nell’assenza di certezze, davanti ai negazionisti mi chiedo: ma come? Dopo quello che abbiamo vissuto? Dopo aver visto le tombe in fila a Bergamo? E, al via della nuova stagione televisiva, mi sembra doveroso l’imporsi toni bassi. Abbiamo assistito a un fenomeno epocale, ci siamo battuti per la ripresa, per la riapertura ove possibile, ma non penso si possano avere posizioni tranchant. Ci sono molte domande, interrogativi a cui è difficile dare risposta. Sentiamo dire ‘mai più un lockdown’, ma dobbiamo soffermarci sulle conseguenze già visibili di questa esperienza. Mi preoccupa molto, per esempio, il ricorso allo smart working. Penso che dovrebbero preoccuparsene anche i sindacati. Ci sono aziende che hanno scoperto che non tutti i dipendenti servono. E aziende che dall’oggi al domani hanno caricato sul dipendente il peso del lavoro da casa – dal computer al telefono – e non sono ancora tornate indietro. Ci sono i piccoli esercizi della cosiddetta ‘economia di vicinato’ – bar e negozi attorno agli uffici – che non si sono più ripresi. Poniamoci il problema, chiediamoci dove si finisce. Chiediamocelo anche riguardo alla politica: non ho la più pallida idea, ora, di quale potrà essere il peso dei No, anche se il Sì parte favorito. E non so come si distribuirà il voto nelle città in cui non si vota anche per le amministrative: la gente uscirà di casa soltanto per andare a votare per il referendum?”.

 

Corrado Formigli (foto LaPresse)

Corrado Formigli (“Piazzapulita” di nuovo in onda da ieri, il giovedì su La7): “E’ come se ora fossimo tornati in classe anche noi, in redazione. Il nostro talk torna infatti a lavorare in presenza: ho fatto togliere un tramezzo per avere più spazio nella stanza delle riunioni, pur rispettando il distanziamento. Non si poteva continuare con lo smart working: in un mestiere come questo, se le idee non circolano, la crisi dell’informazione e il taglio di risorse rischiano di incidere molto seriamente sul lavoro. Noi vogliamo esserci. Abbiamo raccontato la fase dell’emergenza, nelle Rsa e nelle città più colpite, con qualsiasi mezzo, lecito e no, a volte solo con il telefonino, e magari con toni un po’ eroici. E abbiamo buttato il corpo oltre l’ostacolo. E in quella fase, secondo me, il governo ha agito con buonsenso. Ora però dobbiamo chiedere conto della futura riorganizzazione del paese, a partire dai campi che soltanto un anno fa sarebbero stati considerati, in gergo televisivo, scaccia-ascolti: scuola e sanità. Chi mai avrebbe riaperto un programma su scuola e sanità? Ma stiamo scoprendo o riscoprendo che da scuola e sanità si deve partire per ricostruire il paese. Ci vorrebbe una terapia intensiva per la scuola. La cosa grave è che dal 9 marzo in avanti si potevano fare molte cose che non sono state fatte. C’è chi oggi trova disdicevole mettere gli studenti nei container, nei tendoni e nelle strutture prefabbricate, ma prima non ha detto nulla sul fatto che dalla primavera a oggi si poteva ristrutturare, fare un concorso, assumere, ordinare banchi, pensare ai trasporti, e non penalizzare le famiglie, specie quelle che non possono contare su tate e nonni. Come al solito saranno le donne a rimetterci. E poi ora, all’incrocio tra riapertura delle scuole, elezioni regionali e referendum, mi viene da pensare che alla gente non interessa sapere quanti ma quali senatori avremo, tanto più se, con l’eventuale taglio, i parlamentari che restano rischiano di essere ancora più in balìa delle decisioni al vertice dei partiti. Vedo in tutto questo una discreta presa in giro, del fumo negli occhi, un residuo di sentimento antipolitico. Non mi piace il discorso sui costi, non mi importa quanto guadagna il parlamentare ma come lavora. Vorrei che si parlasse della nuova legge elettorale. E per questo voterò No”.

Alessandra Sardoni (foto LaPresse)
 

Alessandra Sardoni (“Omnibus” è in onda su La7 ogni mattina alle 6.50): “Se guardo indietro, ai mesi del lockdown, mi viene da pensare che qualcosa sia cambiato nel nostro approccio, a livello di comunicazione tout court e di comunicazione politica: c’è stata una sorta di sospensione della rissosità spicciola, nonostante le iniziali dispute teoriche e pratiche di alcuni virologi. Quasi subito si è rientrati nei ranghi, l’informazione e la politica hanno partecipato al processo, alla presa di coscienza, muovendosi all’interno dell’ansia e della paura, del singolo e del paese. E’ come se ci si fosse messi una mascherina metaforica, e questo anche mentre scorrevano le immagini delle inchieste più scioccanti. Ci si muoveva in un contesto che ispirava un comportamento in ogni caso civile, e in una sorta di surrealtà rarefatta: anche i politici sapevano che non avrebbe pagato dare spazio, in quel momento, alla propaganda, e che conveniva aprire un credito momentaneo verso l’operato del governo. Certo, erano i mesi più duri. Oggi il dibattito è necessario. Ma se si riesce a conservare almeno una parte di questo atteggiamento, di questa capacità di auto-regolamentazione nei toni, senza giocare alla deresponsabilizzazione reciproca, ma anzi sapendo che si è in grado di mostrarsi tutti responsabili, allora questa brutta esperienza potrà rivelarsi anche una lezione utile. Non vorrei però che ora tutto si esaurisse nella disamina dell’emergenza sanitaria: attenzione a non cadere nella tentazione di fare del talk-show un luogo per il ‘plastico’ della pandemia, come ha scritto il direttore di questo giornale. E, nel momento in cui si avvicina il voto amministrativo e referendario, non vorrei che si perdesse, nel dibattito, la complessità, e il filo del rapporto tra cittadini e istituzioni”.

Nicola Porro (foto LaPresse)
 

Nicola Porro (“Quarta Repubblica” è in onda dal 31 agosto su Retequattro): “C’è intanto una questione fattuale: questa riapertura è diversa rispetto al solito. Si riaprono le scuole, e non solo quelle, non dopo l’estate ma dopo sette mesi di blocco totale. E rimango perplesso, ora: si è passati dalla condiscendenza ipocrita dell’‘andrà tutto bene’ alla sensazione che andrà tutto male, sia quando si parla del pil sia quando si parla di contagi. Cerchiamo allora di uscire dall’atteggiamento emergenziale, anche tra operatori dell’informazione. E facciamo attenzione al virus collaterale che il virus principale ha fatto emergere: la smania di cambiare modello economico, il mito della decrescita felice. Ricordiamoci che il modello tanto vituperato, quello delle economie occidentali, ci ha portato ad affrontare la pandemia con strumenti diversi da quelli che avremmo avuto a disposizione cento anni fa. Non facciamo della pandemia una scusa per ripristinare schemi mentali già visti in azione sul caso Ilva, per esempio. Facciamo esercizio di pragmatismo: la mascherina la dobbiamo mettere per evitare di contagiare ed essere contagiati. Punto. Dopodiché dovrei poter dire, senza essere tacciato di negazionismo, che sul volto di un bimbo sarebbe bello non vederla. Come sul referendum vorrei poter dire che voto No, e lo dico, ma che se poi vincono i Sì non è la morte della democrazia. Sono contro l’idea demagogica che il Parlamento muore se si tagliano i parlamentari. E insomma voto No, ma a volte, a sentir parlare alcuni fan del No, verrebbe quasi quasi voglia di votare Sì”.

Monica Giandotti (foto Ansa)
 

Monica Giandotti (“Unomattina” è in onda su Rai1, tutte le mattine, alle 6.45). “Se guardo indietro, allo scoppio della pandemia e al lockdown, penso che siamo stati tutti messi di fronte a una prima volta. Non avevamo mai vissuto niente di simile, e abbiamo dovuto prendere le misure di una realtà a tratti incredibile e indicibile. E per questo – più che agli errori – mi viene da pensare allo sforzo collettivo fatto (e da fare) per comunicare con il maggior rigore possibile. Sforzo compiuto parallelamente, nel paese, per adattarsi a vivere in modo prima impensabile, imponendosi di fare i conti con la propria paura e con quella degli altri, contenendola e razionalizzandola. Per questo ora, di fronte a una ripartenza difficile, penso sia importante affrontare i mesi che ci aspettano mettendoci in ascolto: il paese ha bisogno di essere ascoltato e raccontato. E ascoltando riusciremo forse a farci forza, a superare al meglio un passaggio fondamentale, denso di incognite, con equilibrio e rispetto, anche nella comunicazione. Qualsiasi cosa succeda, anche nell’urna, la scommessa più grande è mantenersi in questa prospettiva di ascolto. E’ una scommessa più grande di qualsiasi slogan o appuntamento populista”.

Paolo Del Debbio (foto LaPresse)
 

Paolo Del Debbio (“Dritto e rovescio” è di nuovo in onda su Rete 4): “Ripartenza politica? Mah. Certo non c’è stata la solita cesura di agosto, il mese in cui, fino a pochi anni fa, nel deserto del dibattito, Marco Pannella riusciva sempre a imporre i suoi temi con successo. Quest’anno si è continuato a parlare senza interruzioni, anche se sui contenuti mi viene da dire: miserissimi, de minimis. Anche il dopo referendum non credo porterà grandi cambiamenti e grandi approfondimenti, al netto dello scaricabarile probabile. Io voto No perché fare un referendum in questo modo non serve a niente. Ma vorrei che ora ci si concentrasse su un tema fondamentale: come utilizzare i fondi europei in modo da poter abbassare le tasse. E poi: come evitare che ci siano orde di disoccupati. E ancora: come evitare di imporre temi inesistenti per attirare il telespettatore medio, lasciando in ombra tutto il resto”.

Fabio Vitale con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (foto Ansa)
 

Fabio Vitale (“Tribù”, il talk pre-elettorale di SkyTg24, è in onda dal 7 settembre tutti i giorni fino al voto, maratona post voto compresa): “In questi mesi è emersa una necessità, nel pubblico e nei media, ed è stata una sfida: avere e fare un’informazione ancora più attendibile e credibile. Ci sono stati giorni in cui i numeri letteralmente custodivano la vita delle persone, motivo in più per fare attenzione. E penso che oggi lo sforzo debba mantenersi in quel solco: verificare, schivare le fake news, e di fronte alle ‘tribù’ politiche valorizzare gli aspetti positivi del dibattito e non il guardarsi in cagnesco e con sospetto. Il rumore attorno alle notizie non aiuta mai, tantomeno in questa fase: e se i temi imposti dall’emergenza condizionano il dibattito, l’emergenza, in fase pre-elettorale, può diventare pretesto per attacchi strumentali che rendono impossibile orientarsi con chiarezza. Quella che serve in questo momento di passaggio economico, politico, sociale, psicologico”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.