Giornalisti davanti a Palazzo Grazioli (foto LaPresse)

Grazioli davvero

Michele Masneri

A Roma, il Cav. molla Palazzo Grazioli, che è stato il vero centro del potere italiano del ventennio berlusconiano. Storia di un pezzo d’Italia tra presente, passato, inquilini illustri e nobili proprietari

Un’altra casa: più che sugli altari e le polveri politici Berlusconi andrà un giorno studiato per le sue peregrinazioni immobiliari. Ha cambiato più case lui in questo secolo breve del real estate di qualunque divo da show business. E’ notizia del weekend che il Cav. lascerà palazzo Grazioli, anzi “Grazioli”, nel gergo ruvido dei giornalisti parlamentari (è a Chigi? No, è a Grazioli) per trasferirsi, nelle trasferte romane, sull’Appia Antica, in un casone che aveva comprato nel 2001 (dunque pagato in lire, che bravo) e poi dato in comodato gratuito al suo grande amico Zeffirelli. Verrà così meno un landmark del centro storico di Roma, “Grazioli”, e chissà che succederà al mercato romano del mattone già stremato per gli Airbnb deserti (e farci un parco a tema della prima repubblica?).

  

Si potrebbe anche, ad avere tempo e voglia, compilare questa storia immobiliare berlusconiana partendo dal fatto che a Roma, come tanti cumenda prima e dopo di lui, non ha mai ceduto alle sue profferte. A parte il villone sull’Appia (“Appia dei popoli”, secondo la storica definizione di Ottaviano del Turco, per dire di quel glorioso sunset boulevard romano, regina viarum e sede di principesse, stilisti, ex reali, e nello specifico Martelli).

 

Il trasloco sull’Appia pare un po’ una resa, una normalizzazione: Berlusconi infatti non è riuscito a conquistarla mai, una casa. Ha rogitato in ogni dove: da Milano alla Brianza, dalla Costa Azzurra alla Sicilia, anzi qualcuno ricorderà del vanto che si faceva, a usareil mattone come soft power. Nel 2011 si comprò pure una villa a Lampedusa, al grido di “io sono lampedusano”, tipo “Ich bin ein Berliner”, per segnalare la sua vicinanza al popolo isolano vessato dall’immigrazione (e i giornali: è la casa numero 29).

 

Il piano nobile di Grazioli è ristrutturato come altre dimore del Cav. dall’architetto Pes (collaborò alle scenografie del Gattopardo)

Però a Roma è dovuto sempre andare in affitto. Una volta lasciato il famoso appartamento di via dell’Anima, dietro piazza Navona, nel 1994, diversi furono i tentativi, mentre cresceva il radicamento. Ma sempre, sfortunatamente, il Cav. si scontrava con problemi logistici e araldici. I principi Torlonia, non i più antichi ma i più ricchi tra i principi romani, proprietari anche oggi della Banca del Fucino, non presero molto sul serio l’offerta per il secentesco palazzo di famiglia in via Bocca di Leone, abitati da inquilini non proprio cheap come i cavalieri di Malta, e una zia di Juan Carlos di Borbone, che sarebbe parso brutto sfrattare. Anche coi Borghese andò male: il castello della Crescenza, maniero medievale che piaceva molto a Berlusconi, continua a essere usato per sontuosi catering e matrimoni (si sono sposati qui il capitano Francesco Totti e Flavio Briatore) e la proprietaria, la principessa Sofia, signorilmente rifiutò le avances cavalleresche, offrendo illimitata ospitalità ma non avallando rogiti o compromessi.

 

Alla fine Berlusconi ci provò anche con la famiglia Grazioli, non accontentandosi dell’affitto del palazzo di via del Plebiscito 102 in cui risiede dal 1995. Anche qui, garbato rifiuto: il duca Giulio Grazioli-Lante della Rovere resistette infatti alla lusinga grazie alle sue doti di finanziere esperto – mise insieme 42 milioni di euro di plusvalenza nella scalata Unipol-Bnl del 2004, quella dei “furbetti” – ma soprattutto a una fortuna familiare consistente. Rassegnato all’affitto (40 mila euro al mese secondo Mario Ajello sul Messaggero), Berlusconi rese l’indirizzo leggendario, cambiando anche l’urbanistica di quartiere. Il palazzo diventò un compound diplomatico al centro di querelle simboliche vecchie e nuove: l’affaccio sospetto sul palazzo Venezia, che detò allarmi antifa (ma più che nelle sale battute dal Duce Silvio andava volentieri alle rassegne di antiquariato che lì si tengono); l’avanti e ‘ndrè delle fermate degli autobus davanti al portone: rimosse nel momento di massimo splendore berlusconiano, di notte, con conseguente interrogazione parlamentare Pd e tweet di Bersani un minuto dopo la débâcle del 2011: rimettiamo la fermata!

 

E poi manifestazioni di piazza, passanti osannanti o sputazzanti; anche lanci di letame verso la dimora gentilizia, tanto “Grazioli” era diventato sinonimo di potere berlusconiano. Intanto a “Grazioli” una vita da reality, con personaggi sempre nuovi, avventure che filtravano da intercettazioni gustose, docce fredde e calde, arrivo del cagnetto Dudù. Il Cav. aveva in affitto solo il primo piano, con uffici e segreterie sul lato di via del Plebiscito, quello con balcone e bandiere; e appartamento privato sul retro, su piazza Grazioli. Di collegamento, saloni e locali di rappresentanza, la cucina del famoso cuoco Michele che a un certo punto ruppe col Presidente preferendo mettersi in proprio con un ristorante suo dalle parti di piazza di Firenze (triangolo del fritto, di fronte a una mozzarelleria Obikà). Il Presidente, molto signorilmente come suo solito, visitò i locali, espresse apprezzamento, diede la sua benedizione.

 

In tutto, il piano nobile di “Grazioli” è un dado ristrutturato come altre dimore berlusconiane dall’architetto Giorgio Pes, che collaborò anche alle scenografie del Gattopardo viscontiano; al primo piano si aggiungono alcuni locali ai piani bassi, fondamentalmente il “bivacco” per le scorte e il “parlamentino” in miniatura per le riunioni plenarie. Il resto del palazzo è composto da abitazioni e preesistenze non berlusconiane. Non c’è più da tempo, nel palazzo, la sede di Reti-Running, la struttura di lobbying-comunicazione messa su da uno dei due lothar di Massimo D’Alema, Claudio Velardi, in anni in cui pareva ironico installarsi sopra il premier, disponendo anche di terrazze per festeggiare non si sa che. Chiusa anche – dal 2010 – la sede di Red Tv, la Cnn dalemiana che aveva i locali in un seminterrato del palazzo dal lato di via della Gatta. La gatta in questione è quella archeologica di marmo murata sul primo cornicione del palazzo, in ricordo di una gatta che miagolando salvò un neonato dalla caduta. C’è anche una misteriosa leggenda: nella direzione in cui l’animale guarda dovrebbe essere sepolto un tesoro, ma nessuno finora è riuscito a trovarlo. Forse da questa gatta è stata presa la nuova brand identity dell’estate romana voluta dalla Raggi, con un micione dallo sguardo un po’ allucinato.

 

Si andò naturalmente in avanscoperta, nel 2011, per “Rivista Studio”: a metà agosto, “Grazioli” era giustamente deserto, e de-berlusconizzato; su via del Plebiscito solo una Punto dei Carabinieri, vecchia; dietro, sulla piazza Grazioli dove affaccia l’appartamento presidenziale, sgombra dai parcheggi, una Land Rover sempre dell’Arma, a vegliare sul nulla. Sopra il primo piano nobile e politico, un appartamento vistosamente abbandonato, con finestre murate Girai attorno al palazzo, i ricordi del commissariato di polizia molto gaddiano di via Santo Stefano del Cacco, dove è di servizio il “dottor Ingravallo condannato alla mobile” del Pasticciaccio; e poi verso il Visconti, liceo della Roma-bene con precipue dinamiche di classe, dove soffrono allievi proletari in Caterina va in città. Il palazzo Bonaparte abitato dalla mamma di Napoleone con loggetta schermata per vedere senza esser vista, sede fino a qualche anno fa del Corriere della Sera, redazione romana, oggi museo. E palazzo Doria-Pamphilj, con collezioni inenarrabili di Velazquez-Rubens-Caravaggio e soprattutto adozioni e inseminazioni molto moderne del principe Jonathan in lotta con la sorella più tradizionalista e già propritario della villa cara a Giuseppe Conti.

 

Verrà così meno un landmark del centro storico di Roma, “Grazioli”, e chissà che succederà al mercato romano del mattone

Ma se i Doria discendono dal mitico ammiraglio, sempre su piazza Grazioli proprio sotto l’appartamento presidenziale una targa di bronzo commemora “il sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante de la Rovere, caduto a Homes il 28 ottobre 1911 emulando avite gesta fra gli eroi” – bersaglio, ora che verranno a mancare le pattuglie, di sfregi e secchiate di vernice, si immagina (chissà il Grazioli Lante nell’11 che può aver mai combinato in Africa).

 

In realtà questi Grazioli non erano stirpe molto guerriera. Il Vincenzo Grazioli fondatore settecentesco della razza, valtellinese, era fornaio a Roma nel rione Monti, e poi – uomo del fare - prestatore a interesse e gestore di soldi propri e altrui; grande acquistatore di titoli del debito pubblico pontificio, dunque molto benvoluto alla corte vaticana; buon immobiliarista: acquistò nel 1823 la tenuta di Castel Porziano, sul litorale romano, per la somma di 80.993 scudi, che rivenderà poi nel 1874 alla Real Casa Savoia, e di qui poi passerà con la Repubblica in dotazione presidenziale, con molti futuri scandali di cacce al cinghiale in elicottero dei gemelli Leone (narrate da Camilla Cederna nella Carriera di un presidente). Da Maria Luigia di Borbone, duchessa di Lucca, Vincenzo Grazioli acquista invece nel 1835 anche la residenza della (non ancora) via del Plebiscito, in origine palazzo Gottifreddi, edificato dal Della Porta nel Cinquecento. Con il real estate arrivano poi i titoli, tutti papali (anche grazie agli acquisti di buoni del tesoro, insomma i Grazioli fanno come la Cina coi treasury bond americani): nel 1836 papa Gregorio XVI lo nomina barone di Castel Porziano; e nel 1852 addirittura duca di Santa Croce di Magliano.

 

I Grazioli sono ormai una delle famiglie più ricche di Roma e si imparentano subito con le antiche case patrizie: nell’aprile del1847 il figlio di Vincenzo, Pio, sposa una Lante della Rovere soprattutto per aggiungersi due cognomi che gli servono molto nelle mondanità: il figlio Giulio Grazioli Lante della Rovere e la moglie Maria sono infatti una coppia molto fitzgeraldiana nella Roma pre-unitaria: si mettono in mostra per molte cacce alla volpe nel loro villone neogotico nuovissimo sulla Salaria, oggi sede della ambasciata del Canada.

 

Lì Giuseppe Primoli, una specie di Andy Warhol della Roma umbertina, nipote di Napoleone, fotografa tutti, fa un sacco di scatti ai Grazioli cavallerizzi con bombetta. Giulia Bonaparte, anche lei napoleonide del ramo romano, lascia nei suoi velenosi diari cattiverie d’epoca: “il padre del giovane Grazioli era un boulanger (un panettiere)”; fare il pane era ancora uncool, non c’era ancora il mito del “baking” e della panificazione. E se i napoleonidi sono poi vicini di casa dei Grazioli – forse di qui tanto interesse, i Grazioli per qualche tempo sono stati anche un po’ padroni del Messaggero. Almeno morganaticamente, e non gli porterà per niente bene: nel 1977 il rapimento del duca Massimiliano, da parte della banda della Magliana, che segna l’escalation dell’organizzazione criminale, pare scatenato proprio dalla vendita del quotidiano da parte della famiglia di Isabella Perrone, sua moglie (i Perrone passarono poi al Secolo XIX e cedutolo oggi sono azionisti col i 5 per cento della Gedi di Elkann).

 

Per il rapimento vengono chiesti 10 miliardi, cifra enorme, e ne verranno pagati solo uno o due, ma invano, perché il corpo del duca non sarà mai restituito né ritrovato - è stato probabilmente ucciso perché ha visto in faccia uno dei rapitori, e si scoprirà poi l’esistenza di un basista in amicizia con la famiglia, mentre il denaro Grazioli permette il salto di qualità e l’entrata nella leggenda nera della Banda. Ed è subito “Romanzo criminale”. Ma eccoci nell’atrio di Grazioli: il portiere solertissimo Vincenzo veglia sulla guardiola; la sorveglianza è discreta ma presente, ci sono telecamere e led ovunque, ma come in una palazzina di ricchi dei Parioli. Nessun apparato di sicurezza vistoso, cancelletti bassi e niente vessilli militari. Ci sono altri uffici e altre scale; ci sono le cassapanche antiche con gli stemmi Grazioli sempre riprese dalle telecamere dei telegiornali; c’è una Panda blu parcheggiata, vecchia. C’è un annuncio di affittasi, per una mansarda all’ultimo piano, per chi fosse interessato (chiedere a Vincenzo). Ci sono lussi d’epoca grazioliani: buche per la posta d’ottone, come piccoli periscopi da nave; e maniglie dorate con iniziali Grazioli ovunque. La famiglia, molto - come si dice - schiva, non abita più nel palazzo, tranne il ramo dei principi Caravita di Sirignano; una Anna Grazioli negli anni Quaranta sposò infatti il celebre Pupetto Sirignano, dandy e genius loci caprese, playboy, discendente di San Gennaro; e il giorno del Santo, il 19 settembre, mentre in Cattedrale a Napoli si liquida il Sangue venerato, una macchia appare sulla nuca dei Sirignano primogeniti, pare. È uno dei tanti aneddoti di una poco nota autobiografia del genere dandistico-dannunziano-Due Sicilie (Francesco Caravita di Sirignano, Memorie di un uomo inutile, Mondadori, 1981) dove il gentiluomo si racconta.

 

Un altro aneddoto riguarda Giuseppe Tomasi di Lampedusa: l’autore del “Gattopardo”, in cerca di un erede – per il nome e il titolo, perché per il resto era come si sa alla fame – negli anni Cinquanta sonda i cugini Sirignano, che vengono dunque invitati per un tè nella scombinata abitazione palermitana. Tomasi vive in povertà, ha appena fatto un mutuo per ricomprarsi un pezzo del palazzo avito alla Marina di Palermo; la moglie lettone Alessandra Wolff-Stomersee, prima psicanalista donna d’Italia, tratta sperimentalmente valletti di palazzo e aristocratici in crisi. I Sirignano invece molto liquidi vengono invitati per questo tè col piccolo secondogenito Alvaro, predestinato all’adozione; e pare “Amici miei” col figlio del Perozzi che viene presentato al conte Mascetti. Nel pericolante alloggio palermitano l’imbarazzo sale quando vengono offerti cioccolatini talmente vecchi da essere diventati completamente bianchi. Dunque ringraziano molto i chers cousins e scappano inorriditi: l’incontro è andato malissimo, e Tomasi adotterà poi un altro parente, Gioacchino Lanza; che poi si è beccato i fantastiliardi dei diritti d’autore, mentre la urfida Marina di Palermo è oggi zona delle più cool, tra una Manifesta e l’altra. Oggi Alvaro Sirignano amministra il patrimonio di famiglia e abita al quarto piano del palazzo, sopra Berlusconi. Nel suo ufficio, tra i ritratti di famiglia, uno con dedica autografa di Pio XII a donna Caterina Grazioli, nel famoso gesto ieratico con indice e medio eretti. Di Berlusconi, all’epoca di questa visita, neanche una foto: ma dopo il trasloco, oggi, e 7 milioni d mezzo di pigioni versate (300 mila l’anno per 25 anni), un santino dovrebbero metterglielo. Magari anche “via Dudù” al posto “di via della Gatta”.

 

(una prima versione di questo articolo è uscita nell’ottobre del 2013 su RivistaStudio, che ringraziamo)

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