mentre crescono i devoti di sant'espedito, patrono delle cause urgenti

Elogio del rinvio: fece tanto bene a certi imputati durante il Terrore

Guido Vitiello

E’ tutta questione di tempo; siamo passati dall’andante con moto verso l’Ungheria, a un adagietto mahleriano che potrebbe traghettarci verso la Grecia o il Venezuela, chissà, ma che ha il pregio di procedere un po’ più lentamente

Spuntano ogni giorno nuovi devoti di sant’Espedito, il patrono delle cause urgenti, che nella mano destra impugna una croce con l’insegna hodie, oggi, mentre col piede schiaccia un corvo che da un piccolo cartiglio gracida cras, domani. Magari non ne baciano ostentatamente il santino come l’ex ministro del manganello e dell’aspersorio, o dell’aspersorio fatto roteare come un manganello, ma hanno comunque radunato il loro culto discreto. Il rinvio, l’indugio deliberato, il prender tempo non godono di buona reputazione, e pochi si arrischiano a rivendicarli in quanto tali, senza altri pretesti. Sembra più cavalleresco correre subito al torneo, lancia in resta, sapendo che prima o poi il redde rationem arriverà, e che il poi potrebbe trovarci più impreparati del prima.

Questo pensavo leggendo “Les campagnes d’un avocat, ou Anecdotes pour servir à l’histoire de la Révolution”, un opuscolo scritto appena dopo la Restaurazione dall’avvocato Christophe Lavaux, che durante il Terrore era stato uno dei difensori d’ufficio presso il Tribunale. Al libricino avevo affidato le mie speranze di tirar fuori la testa dalle ansie dell’attualità politica per tuffarla in ansie più coriacee e perenni, dunque paradossalmente più riposanti: quelle suscitate dal basso continuo inquisitorio della nostra cultura giudiziaria che ci ha condotti docilmente dal Bonafede primo al Bonafede secondo, o al Diciotto brumaio di Alfonso Bonafede. Invece, a tradimento, mi sono ritrovato davanti a una pagina che suonava come un piccolo apologo politico, e come un monito.

Ne riporto uno stralcio: “Se ho potuto qualche volta far prosciogliere in istruttoria dei detenuti, ho ottenuto ben altri successi mercé un buon espediente. Pregavo, forzavo Fouquier-Tinville” – il grande inquisitore del Terrore – “ad accordarmi dei rinvii di alcune cause sotto pretesto di essere in attesa di documenti giustificativi, di certificati di autorità costituite, di comitati rivoluzionari o di società popolari. Speravo sempre che questo regime atroce finisse per stanchezza o in seguito a un colpo di stato. Il mio sistema, o piuttosto i miei voluti ritardi, urtavano la maggior parte dei miei clienti. Scrivevano all’accusatore pubblico, mi accusavano di negligenza, sollecitavano una pronta decisione!”. Addirittura, continua Lavaux, “qualcuno preferiva la morte a una più lunga cattività. Fouquier-Tinville, facendomi leggere qualche volta le lettere dei miei clienti mi diceva: ‘Guarda, leggi: perché ostinarti a voler paralizzare il tribunale quando i tuoi clienti hanno tanta fretta di farsi ghigliottinare?’. Io rispondevo che avevano perduto la ragione, che non potevano apprezzare l’importanza delle prove che attendevo, che giudicarli senza queste prove era effettivamente portarli a una sicura condanna e aggiungevo: Volenti mori non creditur. Fouquier, che amava le citazioni latine, si arrendeva e metteva in disparte gli incarti processuali (…). Il 9 termidoro liberò tutti i clienti che avevo potuto far dimenticare. Sono passati molti anni da allora, ma ricordo sempre con gioia infinita le loro benedizioni”.

I devoti di sant’Espedito mi perdonino se, pur comprendendo tutte le loro ragioni e condividendone almeno la metà, a conti fatti apprezzo meglio le virtù del rinvio. Viviamo da anni immersi in un’aria elettrica che ha qualcosa di rivoluzionario, e ogni minuto supplementare è prezioso per studiare più da vicino la natura della Bestia che abbiamo davanti, prima che prenda forma in modo irrevocabile, cosa che di solito accade per accidenti futili e non per l’inesorabilità della storia, anche nel caso delle rivoluzioni più celebrate. E’ tutta questione di tempo; se vogliamo, di tempo musicale: siamo passati dall’andante con moto verso l’Ungheria, in un crescendo putiniano, a un adagietto mahleriano che potrebbe traghettarci verso la Grecia o il Venezuela, chissà, ma che ha il pregio – l’unico, forse – di procedere un po’ più lentamente. Lega e M5s sono due facce di uno stesso male mondiale per il quale nessuno, al momento, ha trovato la cura, neppure democrazie ben più salde: figuriamoci il nostro disastrato ceto politico. Serve il tempo, il tempo e solamente il tempo: non vergogniamoci a dirlo. Qualcuno preferirà lo scontro mortale, ma non si deve credere a chi invoca la morte, dice il motto latino. Il prudente Lavaux, nelle circostanze in cui si trovava, costretto a operare difese impossibili, fece la cosa più saggia: prese tempo, sperando in un termidoro che al momento non poteva neppure congetturare. Se si fosse impuntato a difendere fieramente i suoi imputati dal plotone giudiziario di Fouquier-Tinville, come loro stessi invocavano, sarebbero tutti finiti sotto la ghigliottina. Cras, cras, cras, dice il corvo.

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