Il pericolo del mostro giuridico

Redazione

I princìpi della legge Fiano sono giusti, ma il rischio di nuovi eccessi è alto

La reazione del Movimento 5 stelle all’approvazione in prima lettura della nuova legge contro la propaganda fascista redatta da Emanuele Fiano è un capolavoro di ipocrisia. Probabilmente allo scopo di strizzare l’occhio a una fascia di elettorato “nostalgica” hanno definito liberticide le norme che estendono ai social network le proibizioni che la legge Scelba riservava, naturalmente, alla carta stampata. L’apologia di fascismo è un reato ed è giusto che lo sia. Anche chi, come il Foglio, ritiene che si debba evitare in ogni modo di ledere la libertà di espressione, non può trascurare le circostanze storiche che hanno indotto i costituenti a proibire la ricostituzione del Partito nazionale fascista e i legislatori a dare seguito concreto all’indicazione costituzionale. Però anche del principio – in sé giusto – della repressione dell’apologia di fascismo si è fatto abuso, il che dovrebbe indurre a caratterizzare meglio le disposizioni.

 

E’ giusto ricordare che anche contro il lavoro di analisi del movimento e del regime fascista condotto da Renzo De Felice furono scagliate accuse di “apologia di fascismo”, ma in sede critica e giornalistica, non penale. Fu Giorgio Amendola, che pur non condivideva alcune delle tesi di De Felice, a difenderlo, osservando acutamente che “in realtà, sotto il disgusto morale ad affrontare la storia del fascismo si avverte spesso l’imbarazzo a fare la storia dell’antifascismo, che è la storia di un movimento che ebbe, accanto a momenti di alta tensione morale e politica, brusche cadute. Si preferisce ignorare tali limiti e debolezze per mantenere una visione di comodo, retorica e celebrativa, che non corrisponde alla realtà”. Il rischio che si determinino nuovamente eccessi e faziosità nella pur giusta repressione dell’apologia di fascismo non è escluso dal testo della norma proposta da Emanuele Fiano. C’è in particolare un punto, quello in cui si considera reato da punire con la reclusione “la produzione, distribuzione diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli ad essa (cioè all’ideologia fascista, ndr) chiaramente riferiti”, che risulta troppo estensivo.

 

Qualcuno potrebbe ritenere, per esempio, che vendere libri o stampati editi nel Ventennio, con tanto di dedica alle autorità del regime, configuri questo reato, il che è palesemente assurdo. Sarebbe opportuno introdurre qualche correzione e qualche specificazione, in modo da evitare che l’esigenza di impedire l’apologia del fascismo autorizzi una specie di cancellazione obbligata della memoria storica, della quale il fascismo fa parte. Per fortuna non c’è un pericolo alle porte, le manifestazioni di neofascismo restano non solo ultraminoritarie ma anche sostanzialmente ininfluenti. Delimitarne la diffusione sui nuovi mezzi di comunicazione è giusto, ma come sempre quella che conta è la misura. Non c’è dubbio sul valore delle motivazioni di Fiano. Proprio per questo sarebbe meglio evitare che il carattere equivoco del testo della normativa finisse per tradirle, dando vita a una specie di mostro giuridico.

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