LaPresse/Guglielmo Mangiapane

Ecco come funziona a Roma la democrazia diretta (da Grillo e Casaleggio)

Salvatore Merlo

Le dimissioni di Rota e la nomina di Simioni in Atac, le altre municipalizzate, la formazione della giunta, la sudditanza di Raggi. Oggi i due guru arrivano nella Capitale

Roma. Arriveranno a Roma oggi, o forse domani, Beppe Grillo e Davide Casaleggio, sempre più presenti, anche fisicamente, dentro, intorno, alle spalle e di lato all’amministrazione di Virginia Raggi, la sindaca che firmò la famosa clausola che la obbliga a obbedire allo “staff” del Blog, lei che già nel suo discorso d’insediamento in Campidoglio aveva detto “ce la faremo con Beppe e Casaleggio” (mentre Chiara Appendino, a Torino, diceva: “Spero di essere all’altezza della storia di questa città”), lei che pochi giorni fa, al teatro Flaiano, riuniti tutti gli eletti del Movimento cinque stelle, aveva pronunciato poche timide parole, accoccolata su un gradino del palco, le spalle curve, quasi in posizione fetale, esile: “Ho chiesto a Beppe di farci un grandissimo regalo, venire qui e aiutarci a… come dire… a ritrovare un po’ l’energia che ci stanno succhiando via”. Ed eccolo allora, ancora una volta, Beppe, che torna a Roma a dimostrare che cos’è la democrazia diretta (dal Blog), proprio mentre l’assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, fa notare quanti problemi abbiano provocato le incursioni genovesi e milanesi, “qui a Roma servirebbero persone che questa città la conoscono”. 

  

E ancora una volta, come dopo le dimissioni a catena del settembre 2016, quando andarono via uno dopo l’altro l’assessore al Bilancio e il capo di Gabinetto, il ragioniere generale e i vertici della municipalizzata dei trasporti (poco dopo ci furono l’arresto di Raffaele Marra, la caduta in disgrazia di Salvatore Romeo, il ricollocamento di Daniele Frongia e il licenziamento di Paola Muraro…), a distanza di poco meno di un anno, si ripropone uno scenario caotico di veleni e abbandoni, con la conseguente necessità di fare nuove nomine, di scegliere persone nei posti chiave. E dunque, come fu subito dopo il terremoto dello scorso settembre, riecco Grillo e Casaleggio, che in quell’occasione determinarono il commissariamento interno e definitivo della sindaca, costruirono la rete dei “badanti” (con i deputati Fraccaro e Bonafede trasferiti in Campidoglio a mezzo servizio) e che nei mesi successivi fecero precipitare a Roma una serie di assessori da Reggio Emilia, dal Veneto, da Milano, ovvero, su tutti, Pinuccia Montanari a sostituire Paola Muraro (indagata e scaricata), e Massimo Colomban, paracadutato dal nord-est nella Capitale, l’imprenditore Veneto caricato di una missione da far tremare le vene e i polsi: riordinare l’inferno delle aziende municipalizzate.

  

Come allora, e forse in condizioni più difficili di quelle di allora – perché nel frattempo è passato un anno e i guasti si sono persino incancreniti – adesso Grillo e Casaleggio dovranno scegliere una serie di figure chiave a cominciare dal nuovo direttore generale dei trasporti (Atac), individuato ieri in Paolo Simioni, un manager veneto amico di Colomban (e del giro di Casaleggio), ingegnere, ex amministratore delegato degli aeroporti di Mestre, Verona e Treviso. L’incarico al vertice di Atac era rimasto vacante dopo le fragorose dimissioni di Bruno Rota pochi giorni fa, il manager che sempre Grillo e Casaleggio avevano individuato (era stato al vertice della milanese Atm) e che invece ha preso cappello dopo appena tre mesi romani, facendo capire di non voler fare la fogliolina di fico a vantaggio della palude grillina (“non ho copertura politica”, “questi sono dei delinquenti”). E quella all’Atac, quella di Simioni, è la nomina più in vista. Ma ci sono anche da fare le nomine a Risorse per Roma, all’Agenzia per la Mobilità, al consiglio d’amministrazione di Atac, e ai vertici di Zètema. E ci sono infine da rimuovere, da sciogliere, i malumori di Mazzillo, l’assessore al Bilancio dal curiculum evanescente che ieri al Messaggero ha detto – in evidente polemica – che ci vorrebbero persone “che almeno conoscono la città”. Insomma malesseri, piccole intemperanze, che appartengono anche a una parte dei consiglieri comunali grillini, quelli che, in quota Marcello De Vito – presidente del consiglio comunale e amico di Roberta Lombardi – hanno iniziato a manifestare qualche timida (e pericolosa) perplessità sulla natura e la qualità di queste incursioni di Grillo e Casaleggio sull’amministrazione. In fondo è stato Casaleggio a sponsorizzare Rota, dicono loro. Ed è stato sempre Casaleggio a piazzare in giunta anche il suo amico personale Colomban (che ha già annunciato le sue dimissioni entro settembre). Ed è stato infine Grillo a volere Pinuccia Montanari, l’assessora all’Ambiente che qualche mese fa, mentre la città si riempiva di monnezza per le strade, ha spiegato come a Roma non ci sia nessuna emergenza spazzatura, la signora reggiana incorsa in inevitabili ironie per una sua dichiarazione – in video – nella quale, con voce piana e sicura, spiegava che “non ho mai visto un topo a Roma”.

  

E certo De Vito (come Lombardi) non da oggi vuole colpire Raggi, sua avversaria sin dai tempi delle primarie online (i due furono protagonisti di una brutta storia di dossieraggio interno). E dunque De Vito si muove   in una logica di scontro di potere e di corrente intestino al M5s. Una guerriglia che viene da lontano, e si perde nella logica di clan che da sempre divide il gruppo consiliare del M5s a Roma. Così le timidissime critiche nei confronti degli “alieni” precipitati a Roma dal nord per decisione del Blog sono probabilmente in gran parte strumentali, cioè finalizzate a indebolire la già periclitante sindaco Raggi. Eppure questo intreccio di mezze parole, di obiezioni sussurrate, di critiche allusive, rende bene l’idea di come funzioni il governo del Movimento cinque stelle, e forse non solo a Roma. E’ una vicenda che insomma rivela bene quanto pesi sull’amministrazione, e sul consiglio comunale, la logica della democrazia diretta. Diretta da Grillo e Casaleggio, come racconta Muraro, l’ex assessore che, come molti altri fuoriusciti o licenziati, solo dopo essere stata scaricata ha dato origine a una sua personale glasnost sui metodi grillini: “La Raggi non è mai stata autonoma. Anche quando ero in giunta mi sono resa conto che non eravamo liberi di lavorare. Pur non avendo mai incontrato né Grillo né Casaleggio, sapevo che erano loro a dettare la linea su qualsiasi cosa riguardasse Roma”.

   

E prima o poi qualcuno, qualche dissidente, racconterà cos’è in effetti successo nei giorni in cui il Campidoglio ritirò la candidatura di Roma alle Olimpiadi, cosa determinò l’inversione della signora Raggi, che era favorevole, che avrebbe voluto fare un referendum per chiedere ai romani cosa ne pensavano, e che invece si ritrovò, assieme a tutta la sua squadra, a dover firmare un documento già pronto, scritto fuori dal Campidoglio, e consegnatole in un triste pomeriggio dal deputato Simone Valente. E prima o poi – a proposito di democrazia diretta, dal Blog – qualcuno racconterà anche come sono andate davvero le cose intorno allo stadio della Roma, com’è maturata la svolta del M5s, prima contrario e poi favorevole, e come anche questo cambio di orientamenti – gestito dall’avvocato Luca Lanzalone, poi messo ai vertici di Acea – sia bruscamente maturato in ambienti lontanissimi da Roma. In una cena, a Londra, pare. E non c’era Virginia Raggi.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.