Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

Aria di palazzo

Dove cresce l'Ulivo

Redazione

La rete tra Prodi e Pisapia e il sogno di far rinascere l’ulivo il 1° luglio a piazza Santi Apostoli

L’allarme è lanciato, con il timbro di cronisti ben introdotti nel mondo prodiano. E anche se l’accelerazione neo-ulivista dell’operazione di Pisapia è tutta da realizzarsi, molti al Nazareno hanno capito che lo schema di gioco adottato fin qui potrebbe rivelarsi un errore. Qualche tempo fa, sull’onda della vittoria di Macron, l’avevamo chiamato qui sul Foglio lo schema del “ballottaggio virtuale permanente”: con qualsiasi sistema elettorale e nonostante il tripolarismo di fatto, Renzi avrebbe continuamente sfidato Grillo come suo unico effettivo antagonista, marginalizzando il centrodestra, ignorando o calpestando qualsiasi cosa si trovasse a sinistra del Pd e puntando al voto utile nel plebiscito finale tra ottimisti e catastrofisti, gente del sorriso e gente del vaffa. Diciamolo: una riedizione del test referendario, essendo Renzi geneticamente e inguaribilmente maggioritario, con però la rete di protezione di una larga intesa post-elettorale con Berlusconi.

 

 

La politica però obbedisce a regole che è arduo sfidare. Giocare al maggioritario in piena stagione di ritorno al proporzionale può essere affascinante, ma letale. E siamo a una clamorosa nemesi, se il pericolo improvvisamente mortale per Renzi assume le sembianze dell’uomo simbolo del maggioritario, nel caso Romano Prodi voglia davvero ingaggiarsi nella più proporzionalista delle manovre: dare forza a un soggetto esplicitamente concorrente col Pd nel suo stesso bacino elettorale, anzi nel cuore stesso della tradizione ulivista.

 

C'è chi dà il Professore non solo per già impegnato, ma per attivo reclutatore per conto di Giuliano Pisapia di personalità di spicco ora esterne alla politica. La sua apparizione ieri sera dalla Berlinguer era attesa con ansia al Nazareno. La manifestazione convocata da Pisapia il 1 luglio a Roma avrà una location che parla da sola, senza equivoci: piazza Santi Apostoli.

 

Per quanto sta accadendo c'è un precedente, con molte analogie. Nel 1999, dovendo reagire alla caduta del governo Prodi, gli ultrà ulivisti fondarono i Democratici (il famoso asinello) in aperta sfida (la famosa competition) alla prepotenza dalemiana dei Ds. Nonostante i sarcasmi iniziali, non fu affatto una piccola cosa, visto che dal suo iniziale 7 per cento scaturirono la Margherita e l’intera genesi del Pd. Regista dell’operazione, lo stesso Arturo Parisi che ora tempesta di critiche Renzi sia in pubblico (parlando di legge elettorale) che soprattutto in privato (al telefono con i dirigenti del Pd rimasti vicini). Se la filiera si fermasse qui, o a Franco Monaco e Rosy Bindi, poco danno. Ma se entrasse in partita Enrico Letta? E con candidati rottamati ma tuttora evocativi di un passato romantico (tipo Bassolino, Errani)? Anche senza ipotizzare un’ulteriore scissione, l’elettorato del Pd potrebbe essere seriamente scosso. Tutti i calcoli sui collegi sicuri, sarebbero da rifare. La strategia della sfida a Grillo, andrebbe integralmente rivista.

 

Intendiamoci, a oggi questo è solo un fantasma. Sicuramente Prodi vorrebbe evitare di svolgere un ruolo divisivo, l'ideale per lui sarebbe saltare il passaggio della competition e arrivare subito a liste unitarie col Pd. A oggi, però, uno scenario improbabile. A sua volta, Pisapia rappresenta ancora un’offerta politica debole, occupa uno spazio interessante ma solo teorico. In nome della asserita vocazione neoulivista ha scaricato i vendoliani di Sel, ha verificato l’inconsistenza della scissione bersaniana, ma con D’Alema (autentica palla al piede per ulivisti nostalgici o futuristi) siamo “soltanto” alla palese insofferenza reciproca, esibita da entrambi il 21 maggio scorso a Milano. Ci vuole però poco, nella politica contemporanea, a improvvisare. Un imprimatur di Prodi o anche soltanto una sua dichiarazione di neutralità assolverebbero i concorrenti di Renzi dall’accusa che fin qui li ha molto limitati: quella di muoversi solo per rancore e voglia di rivalsa personale. E non rimarrebbe inascoltato neanche nel liquido elettorato di sinistra grillino, contribuendo a dare corpo numerico e senso politico all'operazione.

 

Sicché ora molti amici consigliano a Renzi di cambiare registro. Nella sua più recente fascinazione, lui si sente impegnato nella decisiva battaglia campale web e social contro Grillo, alla guida di un manipolo di arditi millennials. Tutto bene. Ma per pararsi da una manovra politica stile anni ’90 forse dovrà osservare anche altrove. Coprirsi il fianco e guardarsi in casa con meno spavalderia. Farsi bastare i nemici che già ha, senza cercarne di nuovi. E soprattutto trattare molto bene un altro che, guarda caso, di quell’Asinello fu artefice. Un altro che da Parisi riceve messaggi e chiamate. Un altro che di Prodi è amico e che (per il posto che occupa, non per sua intenzione soggettiva) al momento della fine del governo potrebbe diventare la reincarnazione del Prodi ’98 e del Letta 2014: è per questo che il rapporto con l'ulivista doc Paolo Gentiloni diventa ancor più essenziale per Renzi. La prima protezione contro il calcio del rinato Asinello.

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