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Votare nel 2018 è più rischioso per l'Italia. Serve un patto anti sfascisti

Claudio Cerasa

La balla del non-si-può-votare e il vero motivo della instabilità in Italia. Che è il No (sfascista) del 4 dicembre

Dal giorno successivo alla vittoria del No al referendum costituzionale, una parte consistente della classe dirigente italiana ha contribuito ad alimentare una gigantesca balla riassumibile in quattro semplici parole che meritano di essere messe in evidenza: non-si-può-votare. Dopo la caduta del governo Renzi si è detto e ripetuto che votare prima della sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum sarebbe stato un attentato alla democrazia e si è scelto per questo di dar vita a un nuovo governo, per aspettare con calma le decisioni delle Corte. Votare subito sarebbe stato possibile, approvando anche alla Camera la legge disegnata dalla Consulta nel 2014, ma il Parlamento ha scelto di non seguire questa strada, suggerita anche dal Foglio, e così è nato il governo Gentiloni. Bene. Arrivate le decisioni della Corte, a fine gennaio, si è detto che sarebbe stato un attentato alla democrazia votare prima del G7 e si è scelto di rafforzare la balla del non-si-può-votare (si poteva eccome) abbracciando la teoria della necessaria “omogeneità” tra la legge presente alla Camera e quella presente al Senato. Superato il G7 e trovata (via modello tedesco, forse) una soluzione per risolvere il problema della omogeneità (soglia di sbarramento al cinque per cento in entrambe le Camere) la nuova fake news avallata da molti opinionisti e molti osservatori è che votare subito dopo l’estate, e prima della legge di Stabilità, è un crimine contro l’umanità che mette a rischio i fondamentali del nostro paese e che rischia di compromettere per sempre la nostra credibilità. Il problema dell’instabilità dell’Italia esiste, così come esiste il rischio che qualche speculatore possa puntare il nostro paese per farlo ballare in campagna elettorale. Ma se davvero dobbiamo affrontare il problema di che cos’è in Italia l’instabilità vale la pena smetterla di raccontarci frottole e provare a fare un po’ di chiarezza. Primo punto: è un falso grande come una casa dire, o far credere, che sono le elezioni anticipate a creare instabilità. L’instabilità esiste, certo che esiste, ma è dovuta a unico fatto.

 

Il quattro dicembre è stata bocciata una riforma costituzionale che avrebbe garantito un sistema istituzionale capace di governare l’instabilità grazie a un mix discutibile ma efficace (fine del bicameralismo più legge elettorale a doppio turno). Quel mix è stato bocciato e non è un caso che oggi in Parlamento sia numericamente maggioritaria una legge elettorale che costituisce l’antitesi perfetta al modello proposto il quattro dicembre: proporzionale puro con priorità alla rappresentatività prima ancora che alla governabilità. L’instabilità oggi nasce per questo (non c’è un sistema elettorale che può produrre un vincitore certo) e nasce anche perché molti investitori stranieri si stanno rendendo conto che i sondaggi danno per possibile quello che i sabotatori del referendum costituzionale (D’Alema & Co.) davano per impossibile: il governo Grillo-Salvini. Naturalmente i mercati hanno anche paura dell’ingovernabilità ma l’ingovernabilità potenziale è un tratto consequenziale del ritorno alla Prima Repubblica voluto da diciannove milioni di persone il quattro dicembre e a meno di non voler sospendere le elezioni per sempre bisogna prendere atto che sì, numericamente, stando ai sondaggi, Grillo e Salvini, grazie alla legge proporzionale, hanno le stesse probabilità di Berlusconi e Renzi di provare a fare un governo insieme dopo le elezioni. Problema: esiste un’altra legge elettorale possibile in Parlamento che non sia proporzionale? Sì. Ma esiste un’altra legge elettorale che abbia in Parlamento gli stessi numeri che ha oggi la legge proporzionale? No. Dunque, stop.

 

Seconda balla: non si può votare – dicono gli speculatori politici che cercano di guadagnare consenso con un po’ di anti renzismo e anti berlusconismo un tanto al chilo e cercando di mettere contro il presidente del Consiglio e il segretario del Pd – perché è impossibile e pericoloso andare a votare prima della stesura della nuova legge di Stabilità. Anche qui: stupidaggini. E’ vero che la prima bozza della legge di Stabilità deve essere inviata a Bruxelles entro il 16 ottobre. Ed è anche vero che l’ipotesi del voto il 24 settembre accorcia di molto i tempi della presentazione della legge di Stabilità. Ma quello che i professionisti della zizzania dimenticano di dire è che i paesi che votano a ridosso del 16 ottobre hanno sempre un po’ di flessibilità in più per presentare la legge di Stabilità. E come è già successo in Spagna e in Belgio negli anni passati in caso di elezioni ravvicinate la vecchia Finanziaria è possibile presentarla anche a metà novembre. Tutto questo viene ignorato dai falsi sostenitori della stabilità del paese. Così come viene ignorato che votare in un anno in cui il Qe di Draghi è ancora attivo (il 2017) è infinitamente preferibile che votare in un anno (il 2018) in cui il Qe di Draghi sarà difficilmente ancora attivo come è oggi. Così come viene ignorato che è un rischio eccessivo mettere la legge di Stabilità nelle mani di una maggioranza che non ha i numeri neppure per varare una legge che regolarizzi il lavoro occasionale. Così come viene ignorato infine l’unico argomento che avrebbe invece senso mettere in campo per evitare di parlare di fesserie e concentrarsi sulle cose che contano: stabilito che le elezioni anticipate non c’entrano un fico secco con l’instabilità italiana, cosa si può fare per evitare che la campagna elettorale possa diventare una gigantesca sfilata di orrori e di errori che potrebbero compromettere la credibilità del nostro paese? La prima risposta è ovvia: mettere in sicurezza le banche venete (per esempio commissariandole per sei mesi sul modello Alitalia) ed evitare di andare a votare con il rischio di farle fallire durante la campagna elettorale. La seconda risposta è ancora più ovvia e forse per questo viene trascurata da molti: per evitare che le forze responsabili vadano all’inseguimento delle forze irresponsabili occorre promuovere per l’Italia una soluzione simile a quella adottata in Portogallo prima delle ultime elezioni, quando le forze appunto più responsabili, preso atto dei problemi oggettivi del proprio paese (banche in affanno, debito pubblico allo sbando), si sono impegnate a sottoscrivere un manifesto del buon senso (già sentito, vero?) con misure da sostenere in futuro a prescindere dal risultato delle elezioni. Una classe dirigente non irresponsabile oggi dovrebbe occuparsi di questo, non di dare spazio ai piccoli speculatori della politica che dopo non aver mosso un dito per evitare la palude oggi si lamentano che l’Italia si trova in una palude istituzionale. Dovrebbe occuparsi di questo, sì. Ma occuparsi di questo significherebbe doversi schierare. Significherebbe scegliere da che parte stare nella guerriglia tra i professionisti dello sfascio e i loro avversari. Significherebbe infine dover ammettere quello che è impossibile ammettere fino in fondo: che l’incapacità della nostra classe dirigente di prendere una posizione chiara contro la politica dello sfascio è una delle ragioni che si nascondono dietro l’instabilità presente e forse futura del nostro paese. La demagogia non è quella di chi prova ad anticipare le elezioni, ma è quella di chi, di fronte ai veri sfascisti, sceglie semplicemente di non scendere in campo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.