Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché il Pd aspetta i sondaggi scommettendo sul flop dei neo ulivisti

Dopo le primarie Renzi spera in un balzo nelle intenzioni degli elettori. Intanto Pisapia manovra a sinistra, ma pare debole

E ora, sperano nel rimbalzo. C’è molto da capire e da digerire, nella scomposizione del voto reale delle primarie, al Nazareno però adesso attendono con una certa trepidazione anche altri dati. Più virtuali, ipotetici, ma potenzialmente in grado di cambiare il clima politico. Nella settimana successiva alle primarie del 2013 il Pd fece registrare nei sondaggi un salto di oltre quattro punti, fino al 34,6 per cento. Nel 2012, con Renzi perdente di successo e prima dello sperpero bersaniano, i democratici erano stati addirittura proiettati al 38. In precedenza, a prescindere dal momento e dal vincitore delle varie primarie del centrosinistra, le conseguenze positive sono state spesso provvisorie però sempre vistose, effetto dell’incrocio fra l’aumentata attenzione mediatica e l’apprezzamento trasversale nei confronti di un evento considerato comunque un bel gesto democratico. A Renzi farebbe molto comodo, prima dell’assemblea nazionale di domenica, qualche punto percentuale in più nei sondaggi. Forse saranno solo un paio, si spera in qualcosa di più, l’ideale sarebbe poter dire di essere tornati al livello dei Cinque stelle. L’effetto almeno psicologico sarebbe immediato, una spinta per dar corpo alla promessa contenuta nel passaggio del discorso di domenica notte che è sembrato più significativo: non ho alcuna rivincita da perseguire, so che il mio Pd deve ripartire con qualcosa di “completamente nuovo”. In questo effetto psicologico spera anche il partito trasversale della pax gentiloniana, arroccato tra Quirinale e palazzo Chigi. Ci si attende che un Renzi rinfrancato esca dalla sua fase inquieta, sempre in bilico fra depressione e tentazione di spaccare tutto, e decida di dare a se stesso, al governo e al paese il tempo necessario per recuperare l’unica scissione che conti davvero, quella rivelatasi il 4 dicembre fra Renzi e gli italiani che avevano creduto in lui. Una rottura evidentemente non sanata domenica scorsa: in questo il bel risultato dei gazebo, nel suo dettaglio geografico e anagrafico, non può essere equivocato.

 

 

A proposito di scissioni, anche un personaggio lineare come Giuliano Pisapia sta imparando l’arte della doppiezza. Alla sua pubblica ribellione contro il veto posto da Renzi nei confronti di D’Alema e Bersani fa riscontro, in privato, la ferma convinzione che soprattutto D’Alema vada tenuto alla larga dal cantiere della nuova forza “progressista”, della quale il capo degli scissionisti dem si sente invece naturale capomastro comportandosi già di conseguenza. Pisapia non vuole D’Alema fra i piedi non (solo) per evitare di indispettire il Pd, quanto per gli evidenti danni collaterali della sua presenza: troppo rancore, troppa ristrettezza di orizzonte politico, e poi troppi trascorsi anti-ulivisti per una Cosa che pretenderebbe di rievocare la stagione prodiana. Quest’ultima sarebbe anche la ragione “nobile” per scaricare dalla carovana i vendoliani di Fratoianni, in realtà vittime a loro volta del veto tutto interno opposto dai loro ex compagni di Sel.

 

 

 

Purtroppo per ora la presenza del solo Franco Monaco e l’appoggio di Repubblica non bastano per vedere nel progetto di Pisapia l’Ulivo del terzo millennio. Ci si rivende il sostegno di Prodi, ma le interviste del professore finora sono state quanto meno criptiche, molto più avare del previsto. I prodiani nel Pd più in là di elogi al sistema delle coalizioni non vanno. E la fragilità dell’operazione neo-arancione indebolisce anche la posizione di chi, nel Pd, non vedrebbe alcun valore aggiunto dal mero inserimento di Pisapia o Boldrini nelle proprie liste (come ipotizzava Renzi) e preferirebbe incoraggiare la nascita di un cespuglio in grado di competere coi Cinque stelle sull’elettorato liquido di sinistra-sinistra. Per un simile obiettivo ci vuole tempo e ci vuole leadership: il primo forse Renzi lo concederà; la seconda, gli aspiranti ulivisti devono darsela da soli.