Matteo Renzi (foto LaPresse)

Al voto, al voto!

David Allegranti

I renziani pensano alle urne anticipate dopo le primarie di domenica: “Si vota dopo l’estate”

Roma. Prima il referendum del 4 dicembre, poi le primarie del Pd. Le attese della politica italiana sembrano non esaurirsi mai; c’è sempre qualcosa che deve accadere. Domani però un’altra fase si consumerà: il Pd ritroverà il suo segretario ed è chiaro che a seconda del vincitore, gli scenari saranno diversi. L’esito delle primarie sembra tuttavia scontato e Matteo Renzi riconquisterà la guida del partito da cui si è dimesso dopo la sconfitta referendaria.

 

Domanda: ma il giorno dopo che cosa succede? Provare ad andare al voto subito non è un’ipotesi peregrina, per Renzi e i renziani. Molto dipenderà anche da quanta forza avrà l’ex sindaco di Firenze domenica sera (il combinato fra percentuale ottenuta e numero di votanti sarà un elemento non secondario), ma la tentazione di dire “al voto, al voto” c’è tutta. “Prima però serve la legge elettorale e poi – per il bene del paese non del Pd – si deve votare. Possibilmente dopo l’estate”, dice un renziano molto vicino all’ex premier. “La legge di bilancio fatta da questo governo ci fa perdere sei mesi. Serve un nuovo governo per fare un nuovo patto con Bruxelles”. Il disegno dei renziani pare essere tracciato, anche se non esposto pubblicamente: andare subito al voto, e non fra un anno, consentirebbe di sincronizzare l’Italia con altri due paesi europei al voto entro il 2017: la Francia, che fra una settimana avrà il suo nuovo presidente della Repubblica, e la Germania, dove si va alle urne in autunno. C’è chi, anche nel governo, definisce questo scenario “Unione Europea 2.0”, con Emmanuel Macron, Martin Schulz e, appunto, Matteo Renzi, alla guida dei rispettivi paesi. In questo modo peraltro finirebbe il dualismo che sta perdurando dalla nascita dell’attuale esecutivo, quello fra Renzi e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Finora l’ex sindaco di Firenze ha provato a dissociarsi dall’azione del governo di cui però è azionista di maggioranza.

 

Non tutti nel Pd sembrano condividere lo schema di gioco. Tra questi, Matteo Orfini, tra i più leali a Renzi negli ultimi anni. “Ci siamo impegnati a proseguire la legislatura”, avverte Orfini. Anche Andrea Romano la vede complicata, dice che la legge elettorale da fare è una storia ormai “fissata con i chiodi”. E fare subito la nuova legge elettorale, come dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e poi andare al voto dopo l’estate? Non sarebbe possibile? “Non credo ci siano i tempi”, spiega il deputato renziano. Resta il dubbio che sia soltanto tattica in vista del voto di domenica: perché i renziani dovrebbero pubblicamente accreditare l’intenzione di voler far cascare il governo Gentiloni? Meglio tenere le carte coperte. Tuttavia Renzi, si chiede il costituzionalista Stefano Ceccanti, “come fa a far cadere il governo? Che argomento usa?”.

 

Gli argomenti politici, per la verità, non mancano, forse oggi quello che manca è soprattutto il casus belli. A parte l’amicizia che li lega, si fa fatica a capire su che cosa Renzi e Gentiloni possano andare politicamente d’accordo in questo momento. Finora l’ex segretario del Pd non ha apprezzato molto la linea del dialogo con tutti, quella del “patto Gentiloni”, che è, sostengono i renziani, naturale conseguenza della vittoria del No al referendum del 4 dicembre. Ora c’è appunto un governo ma anche un Parlamento che fanno cose diverse da quelle che avrebbe voluto realizzare Renzi, come dimostra pure l’elezione di Salvatore Torrisi alla presidenza della commissione Affari costituzionali del Senato. Fosse stato per Renzi, i voucher sarebbero rimasti al loro posto, senza cedimenti alla Cgil. Su Alitalia, l’ex premier la vede all’opposto del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. Per non parlare del ridimensionamento (poi rientrato), da parte del governo, dei poteri dell’Anac di Raffaele Cantone, l’agenzia anti-corruzione fortemente voluta dall’ex premier Matteo Renzi.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.