Da sinistra Yvan Benedetti, Nick Griffin, Udo Voigt, Roberto Fiore, Sarmiza Andronic a Genova (Foto Facebook)

Fascisti e antifascisti. A Genova la solita libertà limitata

Dino Cofrancesco

Poco saggio radunare l'estrema destra nella Mecca dell'antifascismo. I "bravi compagni" protestano in piazza e, come sempre, decidono chi può parlare e chi no 

Se i Signori Roberto Fiore (Forza Nuova), Udo Voigt (Partito Nazionaldemocratico Tedesco), Yvan Benedetti (ex Front National), Nick Griffin (ex Partito Nazionale Britannico), Sarmiza Andronic (Partidul Romania Unita), avessero organizzato l’incontro dell’Alliance for Peace and Freedom a Catanzaro chi se ne sarebbe accorto? Saggiamente, nell’epoca in cui se non sei televisibile non esisti, hanno deciso di tenerlo a Genova, la Città santa dell’Antifascismo. Alla Mecca è vietato ostentare ogni tipo di croce, a Genova è vietato ostentare solo la croce celtica che, da tempo, connota ormai molti gruppi di estrema destra in Europa. Se ci si riunisce all’ombra della Lanterna, il battage pubblicitario è assicurato: tre-quattrocento agenti a tutela dell’ordine pubblico, sindaco ed esponenti del Pd, di Possibile (leggi Pippo Civati), di Sel in piazza a portare la loro solidarietà a quanti si oppongono alla barbarie nazista, Fiom e Anpi in prima fila con le loro bandiere, centri sociali in subbuglio, in lotta su due fronti (contro la vera destra e contro la falsa sinistra, antifascista solo a parole). Il calcolo, anche questa volta, è riuscito e, grazie a prefetto e a questore, i prevedibili tafferugli sono stati ridotti a poca cosa, in un quartiere cittadino blindato e deserto (Sturla).

 

Negozi chiusi (e di sabato)? Gente tappata in casa? Traffico bloccato per un intero pomeriggio? E cosa saranno mai questi disagi dinanzi alla gravità dell’evento? Ha detto il sindaco Marco Doria, intervenuto alla manifestazione per il suo altissimo senso delle istituzioni: è “fondamentale essere qui contro chi semina odio”. Nella storia, diceva il vecchio Marx, i fatti si ripetono due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Nelle giornate drammatiche del 1960 contro il Governo Tambroni, il dramma, sabato scorso la farsa. Attenzione, però! A trarre profitto dal copione resistenziale non è stata solo l’estrema destra ma anche l’establishment politico. In un momento in cui la poltrona del sindaco traballa, per la vertenza irrisolta dell’Amiu, il repechage dei simboli, che accomunano tutte le forze democratiche antifasciste al grido no pasaran!, continua a essere una risorsa utile, anche se, a differenza che nel passato, non durevole.

 

Un manifestante di Sturla, intervistato dalla Tv, ha ben riassunto il senso della mobilitazione antifascista: “Non possiamo concedere a questi libertà d’espressione!”. Ha detto proprio così: è la gente comune, sono i bravi compagni, sono gli anpini a dare la parola a chi se la merita. Personalmente, se mi venissero presentati, mi guarderei dallo stringere la mano a Roberto Fiore, a Udo Voigt, a Yvan Benedetti, a Nick Griffin, a Sarmiza Andronic ma mi ripugnerebbe uno stato che affidasse a un semplice cittadino come me – e non alle autorità di governo e ai magistrati competenti – il potere di tappare la bocca a Tizio o a Caio. È inutile: “A föa a l’è sempre quella”. Specie dopo la Legge Mancino (205/1993) è diventato difficile tracciare una linea divisoria tra opinioni e azioni: ormai le prime, anche nelle forme più “controllate” (ad esempio, il fascismo aveva pur fatto delle cose buone), stanno sullo stesso piano della violenza fisica e dell’incitazione all’odio razziale (ad esempio, “ributtate gli ebrei in mare!” come consigliava Pierre J. Proudhon). È curioso che quella legge sia stata contestata da sinistra ovvero dai centri sociali. Per Wu Ming, la polizia che interviene contro i nazi crea solo dei martiri: debbono essere i “compagni, la gente, gli ebrei autorganizzati” a impedire loro di riunirsi. Inaccettabile non è il pestaggio in sé ma il fatto che a occuparsene sia lo stato.

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