Massimo Osanna (foto LaPresse)

Eroico e Osanna. Nomi da seguire per costruire il riformismo del futuro

Claudio Cerasa

Per iscriversi al partito di Draghi, i leader hanno solo una possibilità: aprire un casting dell’ottimismo e raccontare chi sta davvero cambiando l’Italia. Da Pompei a Pomigliano. Storie utili

Alla fine della direzione di oggi, il Partito democratico avrà le idee più chiare sul congresso, sulle elezioni, sulla legge elettorale, sul premio di maggioranza, sui capilista bloccati, sulle soglie di sbarramento e forse sullo stato dei rapporti tra la minoranza e la maggioranza. Tutto molto interessante, come direbbe il dj Rovazzi, ma una volta schiaritesi le idee sul percorso che dovranno imboccare in questa legislatura il governo e il partito di maggioranza relativa bisognerà smetterla di parlare di fregnacce e toccherà concentrarsi su qualcosa di concreto, per provare a resistere alla piacevole sensazione di asfissia generata dal ritorno delle sabbie mobili della Prima Repubblica. Problema: come si fa? Raccontare la storia dell’Italia che va riformata nel suo complesso, dopo la bocciatura della riforma delle riforme, va da sé che è un’idea fragile, e occorrerebbe uno sforzo di fantasia per trovare qualcosa di più. Inutile, per Renzi, rivendicare i risultati del suo governo e trasformare i suoi mille giorni a Palazzo Chigi nel manifesto programmatico di una nuova riscossa possibile. Se si vuole lanciare un grande messaggio universale per tentare di riformare l’Italia, i leader di centrodestra e di centrosinistra dovrebbero fare una cosa semplice e lineare: aprire un grande casting dell’ottimismo per raffigurare plasticamente non il solito paese che non ce la fa, che non arriva a fine mese, che è intrappolato nella crisi, ma il paese che ce la fa. E che prova insomma a fare quello che non è riuscito fino in fondo a tutti gli ultimi presidenti del Consiglio: scardinare le corporazioni italiane e riformare l’Italia senza aspettare le riforme dei governi. Serve un grande casting dell’ottimismo e per cominciare bisogna segnarsi subito questo nome: Massimo Osanna. Come chi è Massimo Osanna? Ve lo spieghiamo subito.

 

Massimo Osanna (nell’alto dei cieli) è il soprintendente speciale per i beni archeologici di Pompei e nelle ultime settimane si è fatto conoscere per aver avuto il coraggio di non arrendersi laddove molti suoi colleghi si sono fermati. E nel suo piccolo ha applicato perfettamente il metodo Draghi, che prevede un teorema spietato ma lineare: i problemi dell’Italia non dipendono dai vincoli esterni ma dipendono dall’incapacità del nostro sistema di risolvere i suoi guai. A inizio gennaio, dopo aver consentito un’apertura al pubblico straordinaria degli scavi di Pompei nonostante in quelle ore fosse stata convocata un’assemblea sindacale, Osanna ha denunciato quanto segue: “Due piccoli sindacati autonomi hanno provato a dirmi: o fai quello che ti diciamo noi, o ti chiudiamo gli scavi. Non hanno gradito un mio ordine di servizio con il quale ho accorpato due uffici. In uno l’impiegato addetto era spesso assente, e le pratiche marcivano, nell’altro l’impiegato lavorava regolarmente. Adesso che l’ufficio è unico, tutto funziona bene”. Lo scontro con i sindacati di Osanna è andato avanti per giorni. Il soprintendente è stato denunciato ai carabinieri proprio per avere consentito l’apertura del sito durante l’assemblea sindacale e già all’inizio della sua avventura a Pompei Osanna capì che non sarebbe stato facile districarsi in mezzo alla frammentazione sindacale: “Appena arrivato nel 2014 – ha raccontato al Mattino – mi hanno dato il benvenuto convocando un’assemblea a sorpresa, quando io non ero in sede. Sono corso a Pompei, ho visto tutti i turisti fuori dai cancelli. Mi sono infuriato: ho strappato le chiavi dalla tasca del custode e ho fatto entrare le persone”.

 

La storia di Osanna è significativa non solo per la scelta di un uomo delle istituzioni di sfidare i sindacati anche a costo di dover subire una ritorsione ma perché dal 2014 a oggi il soprintendente ha tentato di fare quello che servirebbe all’Italia: rendere più produttivo l’ambiente di lavoro provando contestualmente a convincere i lavoratori che ciò che conta all’interno di un posto di lavoro non è la difesa del proprio posto ma è la difesa del luogo in cui si lavora. Più produttività significa più lavoro e più lavoro significa migliori condizioni per tutti. Il margine di manovra avuto da Osanna deriva anche da una buona legge partorita qualche anno fa dal ministro Dario Franceschini e dall’ex premier Matteo Renzi che subito dopo uno sciopero indetto durante l’estate del 2015 al Colosseo decisero di varare un decreto legge in base al quale i musei e i luoghi di cultura sarebbero diventati parte dei servizi pubblici essenziali del paese e come tali avrebbero dovuto sempre mettere i diritti dei turisti un passo prima dei diritti dei sindacalisti. Se Matteo Renzi avesse coraggio, dovrebbe far diventare Massimo Osanna un simbolo del Pd del futuro. E come lui anche il direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori, che giusto un anno fa è finito, come si dice, nel mirino dei sindacati perché “lavorava troppo”, e per questo ricevette un duro documento di tre pagine da parte dei sindacati della Reggia: “Il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura”. Un leader riformista, se questa parola ha ancora un senso, dovrebbe trasformare Osanna e Felicori in due simboli dell’Italia che ce la può fare. E accanto a loro dovrebbe portare in alto e con orgoglio un altro campione dell’Italia che ce la fa nonostante la retorica declinista: il capo dello stabilimento di Pomigliano D’Arco.

 

Per il secondo anno di fila (non ditelo a Maurizio Landini) la Fca ha distribuito nelle fabbriche italiane il bonus di produttività voluto da Sergio Marchionne nel 2015 e ancora una volta è Pomigliano ad aver ottenuto le migliori performance: il premio passa da 1.476 a 1.940 euro. Pomigliano è una delle fabbriche in cui nel 2010 la Fiat scelse di introdurre (dopo aver vinto il referendum tra i lavoratori della fabbrica) dei nuovi accordi incentrati sulla produttività. Marchionne smontò lo stabilimento, vi investì centinaia di milioni e vi trasferì la Panda dalla fabbrica modello di Tychy, Polonia, grazie alle nuove favorevoli condizioni: fabbrica aperta 24 ore al giorno, sei giorni su sette, per 18 turni, con un orario individuale di 40 ore e con ottanta ore di straordinari in più durante l’anno e sanzioni severe contro le assenze anomale. Oggi Pomigliano è una delle fabbriche più produttive d’Italia e un leader che vuole cambiare l’Italia portando alla luce esempi concreti di chi sta provando a cambiare il nostro paese dal basso insieme a Osanna (gran cognome) dovrebbe trasformare anche il direttore di Pomigliano in un eroe dei nostri tempi. Si chiama Francesco Eroico e come Osanna il nome è già un programma.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.