Matteo Renzi (foto LaPresse)

Assedio a Renzi

David Allegranti

Il partito del 2018 gioca di sponda con Bersani e Nap. Il leader Pd apre alle primarie. Basterà per votare?

Roma. Scissione, scissione, scissione. Ancora però non è chiaro – ammesso che si faccia davvero – chi sarà ad andarsene. Sicuramente, Matteo Renzi non vuol fornire scuse agli avversari interni. Per questo mercoledì a fine serata ha aperto alle primarie, come da giorni chiede la minoranza del Pd. L’annuncio, affidato a Matteo Orfini, alleato nella battaglia, è una risposta a Pier Luigi Bersani, che in un’intervista a Huffington Post aveva sfidato apertamente poche ore prima il segretario del Pd. “Se Renzi forza, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd”, ha detto l’ex segretario. “E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”. Il leader del Pd per ore è rimasto asserragliato nel suo fortino al Nazareno; ha incontrato Matteo Orfini, Lorenzo Guerini e Andrea Orlando, con i quali ha stabilito la strategia.

 

E’ toccato a Orfini, presidente del Pd, che ha un’intesa solida con il segretario, andare in tv per replicare a Bersani e aprire al congresso anticipato: “Possiamo convocare il congresso da giugno in poi”, dice Orfini a Cartabianca, il programma di Bianca Berlinguer. “Qualora ci dovesse essere un’accelerazione sul voto, non faremo in tempo a fare il congresso ma se c’è l’esigenza di ridiscutere con quale candidato andiamo alle elezioni, come chiede Bersani, potremmo tranquillamente trovare il modo di fare le primarie prima delle elezioni. Lo dico da presidente del partito che garantisce lo statuto”. E Renzi? “Il segretario del partito non ha intenzione di sottrarsi”, assicura Orfini. Renzi, insomma, tira dritto verso le elezioni anticipate, anche se le resistenze sono forti; in Transatlantico c’è un’aria pesante, si fanno capannelli e ci si chiede dove voglia andare a parare Renzi. Persino i renziani sono un po’ smarriti. “Nei momenti difficili reagisce sempre e solo di impulso”, dice un parlamentare che lo segue da anni. “Non ascolta”. C’è chi non comprende bene il suo attacco all’Europa, c’è chi non apprezza il tentativo di scendere sul terreno di scontro del grillismo. C’è chi non capisce bene neanche tutta questa fretta di andare a votare.

 

Matteo Richetti è perplesso sul voto anticipato, ma non è l’unico. “Nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno”, dice l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “In Italia c’è stato un abuso del ricorso alle elezioni anticipate. Bisognerebbe andare a votare o alla scadenza naturale della legislatura o quando mancano le condizioni per continuare ad andare avanti. Per togliere le fiducia ad un governo deve accadere qualcosa. Non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno...”. C’è insomma un #matteostaisereno grande come una casa nelle parole di Napolitano, che dunque propende per il voto nel 2018, a scadenza naturale. Gli risponde Orfini: “In un paese normale destra e sinistra non governano insieme”, se non per fare le riforme. “Nel momento in cui il percorso delle riforme si è fermato il 4 dicembre è finita la legislatura. Può andare avanti se si cambia la legge elettorale”. Duro, contro Renzi, Francesco Boccia. 

 

“La legislatura volge al termine per Renzi solo per difendere la sua sopravvivenza politica; la data delle elezioni la decide solo il capo dello Stato”, dice Boccia in un’intervista a Radio Radicale. “E’ necessario fare in questi mesi alcune cose che gli italiani si aspettano: un nuovo decreto per il terremoto, la messa in sicurezza del sistema bancario, aggiustare le storture delle riforme su scuola, lavoro e alcuni interventi sulle povertà e sugli enti locali”. Oggi intanto alle 13 si riunirà l’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali della Camera per decidere il calendario dei lavori sulla legge elettorale. Il Pd è disponibile a estendere anche al Senato la legge elettorale per la Camera uscita fuori dalla sentenza della Consulta. Nel partito del “voto subito”, di cui fanno parte Pd e e M5s, si discute però sui capilista. Il Pd vorrebbe mantenerli e metterli anche al Senato, i grillini invece vorrebbero toglierli del tutto.

 

Ma Renzi non può cedere sui capilista; sono la sua garanzia per avere uomini di fiducia in lista ed eletti nel prossimo Parlamento. I fronti aperti per il segretario, congresso e legge elettorale a parte, sono parecchi. La frase pronunciata a DiMartedì – “L’unica cosa da evitare è che scattino i vitalizi, perché sarebbe ingiusto per i cittadini” – ha scatenato le proteste dei parlamentari del Pd. Non solo quelli della minoranza. Anche perché i vitalizi non ci sono più dal 2012. In 17 hanno scritto una lettera aperta al leader. “Caro Segretario, oggi molti dei parlamentari del tuo gruppo politico, sai, quelli che hanno votato le fiducie, quelli che hanno passato giorni a studiare testi anche per trovare correttivi ad atti governativi, quelli che passano i fine settimana ad incontrare cittadini e le loro difficoltà, oggi ascoltano con delusione il tuo attacco ai ‘vitalizi’”. Segretario, dicono i 17, “per mortificare il lavoro di questi parlamentari bastano i quotidiani attacchi dei colleghi del M5s, vuoi davvero aggiungere la tua voce al coro?”. C’è un Grillo in ognuno di noi, insomma. Anche in Renzi. 

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.