Carlo Verdelli e Antonio Campo Dall'Orto (foto LaPresse)

Abbiamo letto il piano Verdelli e abbiamo capito perché la Rai è irriformabile

Marianna Rizzini

“Dove andiamo”?, si domanda il piano davanti al “pulviscolo” di “testate ed edizioni”. Punti di attrito tra azienda, sindacato e cdo (e qualche chicca).

Roma. Tutti parlano da giorni del cosiddetto “piano Verdelli” (o “piano editoriale per l’informazione Rai”) e delle conseguenze della sua informale non-approvazione in cda (dimissioni di Carlo Verdelli, ex responsabile editoriale, assunzione dell’“interim” da parte del dg Antonio Campo Dall’Orto per portare a termine il lavoro di Verdelli e polemiche successive). Del piano Verdelli erano trapelati molti contenuti sui “filoni d’azione” del “razionalizzare e modernizzare” (con accorpamenti dei tg su scala regionale) nonché sulle possibili modifiche dopo la bocciatura informale (“no” al Tg2 a Milano, no alle “macro-aree” e al “Tg sud”, sì alla “rivoluzione internettiana” e “nì” all’accorpamento Rainews-Tgr). Ma che cosa ci fosse scritto esattamente nelle 83 pagine del piano Verdelli non si sapeva. L’abbiamo letto. E alla prima, rapida lettura, anche in relazione alle polemiche post-dimissioni di Verdelli, quel che colpisce è intanto il lessico (vedi riferimento a una “Rai” dell’informazione “che sembra essersi fermata con l’orologio alla fine del Novecento”, chiusa in comparti che si vivono “come concorrenti” in una specie di “corsa privata”- il piano insiste sul concetto che “i tempi non stanno cambiando, sono già cambiati. L’informazione Rai no…”).

 

Primo obiettivo: evitare sovrapposizioni tra i tg e “dialogo” con lo spettatore (da cui la “centralità” della dimensione web). A parte le già note critiche allo status quo (come lo “spreco” di risorse sul piano locale e i metodi “ingessati”, un tempo volti a “legittimare” la presenza di organici altrimenti non giustificabili nelle dimensioni), nel piano si parla anche della “logistica” (si consiglia per esempio di aprire una “riflessione su Saxa Rubra… cuore della fabbrica”) e ci si sofferma sull’esempio “virtuoso” estero (esempio: alla Bbc, “i talenti” individuali vengono “premiati”, come il caporedattore che li segnala).

 

“Dove andiamo”?, si domanda il piano davanti al “pulviscolo” di “testate ed edizioni”, anche citando Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br: “Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, pagando prezzi elevati di conflittualità”. E il piano si risponde che la Rai deve diventare “una” (“…ogni parte sia consapevole come nell’apologo di Menenio Agrippa sulla vitale collaborazione tra le braccia, il popolo, e lo stomaco, il Senato…”). Per fare questo la linea è: “Prima il digitale”. E qui sorge un problema – s’immagina “il” problema oggetto di molte critiche preventive: nel piano si parla di creazione auspicata di una “nuova testata”, “Rai24”, sotto cui “confluiscano” Televideo e “l’attuale sito di Rainews.it, finora sotto la direzione di Rainews24”  come fosse “…il cuore del fiore, con i petali collegati in ciascuna redazione”. Obiezione dei non-fan: ma come, volete “razionalizzare” e create “una nuova testata?”. Il piano, nelle premesse, specifica di voler giungere a decisioni concordate con cda e sindacato, ma gli accorpamenti regionali sono già stati in parte preventivamente eliminati dall’orizzonte (nelle 83 pagine ci sono i dati sugli organici delle redazioni nazionali e regionali e sull’uso che viene fatto degli stessi, e c’è una proposta di soluzione attraverso la creazione delle suddette macro-regioni, ma “mantenendo le 21 sedi previste dalla legge Gasparri”). Segue riflessione sui tg: “Pluralismo trasversale” per “coprire più tipi di pubblico possibile” (ed evitare cali negli ascolti su cui si sofferma il piano stesso). L’altra parte “sensibile” riguarda le “proposte di intervento editoriale per tutte le testate”. Esempio: “…marcano troppo poco ( o per niente) le differenze tra le tre edizioni principali” (mattino, mezzogiorno e sera), e si consiglia di “affrontare campagne di denuncia o sostegno a cause che lo meritino”, “di limitare al massimo” o “del tutto” le “immagini di repertorio e di fare “meno political tattics” e “più political effects”. Rimprovero: “…rimandi…pigri al nostro canale all news; “…la rete è piena di umorismo, satira, photoshop geniali…battute divertenti. Nei nostri tg non ce n’è traccia…”. Sotto accusa anche alcune “conduzioni standard” con conduttore che “legge il gobbo” e passa la linea in “modo burocratico”. Da bandire, si legge, le “frasi fatte” come “e ora passiamo alla politica”. (S’indovina anche qui un punto d’attrito con azienda, sindacato, cda).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.