Beppe Grillo (foto LaPresse)

Perché il populismo salviniano di Grillo sui profughi non deve stupire

David Allegranti

Il rosso e il nero. Parla il politologo Marco Tarchi

Roma. “E’ il momento di proteggerci, rimpatriare tutti gli irregolari”. Beppe Grillo – via Sacro Blog – dopo l’attentato di Berlino è andato ad aggiungersi al Partito delle Frontiere Chiuse. Lo stesso di Matteo Salvini, capo del fronte lepenista italiano: sono le convergenze parallele di M5s e Lega. Viene da chiedersi dunque se il partito di Grillo non sia il miglior competitor di Matteo “Le Pen” Salvini. “Mi stupisco dello stupore dei commentatori”, dice al Foglio il politologo Marco Tarchi, ordinario di Scienza Politica all’Università di Firenze. “Da molti anni Grillo si esprime sulle questioni connesse all’immigrazione in questo modo. Nel capitolo del mio libro ‘Italia populista’ (il Mulino) che gli ho dedicato, ho estratto un florilegio di argomentazioni sostenute sul blog o sui comunicati ufficiali del MoVimento da lui redatti da cui risulta chiaramente che Grillo ha sempre individuato e denunciato nei fenomeni migratori di massa un focolaio di pericoli da cui difendersi. E lo ha fatto anche in termini più radicali di quelli odierni”.

Evidentemente, aggiunge Tarchi, “ha fatto comodo a molti, soprattutto a sinistra, chiudere gli occhi su questo dato per poter presentare il grillismo come un fenomeno amico e cercare di cavalcarlo a suon di consigli interessati alternati a bacchettate. Ma Grillo non sembra voler lasciarsi influenzare da chi persegue strategie che gli sono estranee”. Questo è il segno che il M5s è diventato un movimento/partito di destra? O in realtà è sempre stato così? “Non lo penso affatto. E insisto a dire che Grillo rappresenta – anche attraverso le opinioni di cui ora discutiamo – una forma pura di populismo, per sua natura trasversale rispetto allo schema oppositivo sinistra-destra. In Europa, le conseguenze dei flussi migratori hanno indotto milioni di elettori tradizionali della sinistra socialista e comunista ad abbandonare le scelte precedenti per riversare il loro voto sulle liste di Front national, Fpö, Sverigedemokraterna e formazioni analoghe. Facendo questo, si sono convertiti alla visione della società della destra? No davvero. Si sono collocati là dove pensano che alcuni loro interessi e principi cruciali vengano difesi”. Sì, professore, ma come si tiene insieme l’atteggiamento vagamente internazionalista di Alessandro Di Battista, alle prese con le “spremute di umanità”, con posizioni di chiusura rispetto ai migranti? “Dice bene: ‘vagamente’. In realtà, il M5s – che peraltro non sempre ha seguito le indicazioni di Grillo – parla di aperture ai popoli, non agli stati e men che meno alle istituzioni transnazionali, spesso anzi criticate duramente. E dichiararsi solidali con altri popoli non vuol dire accettare passivamente che le loro identità, abitudini e stili di vita siano messi a repentaglio dall’ingresso massiccio di persone che a quei codici comportamentali sono estranee, e in gran parte dei casi vogliono rimanerlo”.

 

 

Quanto può pagare in termini di consenso una campagna elettorale incentrata sul tema della sicurezza? “Ammesso e non concesso che il M5s voglia perseguire questa impostazione – e non credo che intenda farlo a discapito delle altre sue tematiche caratterizzanti, perché suppongo si renda conto che la chiave fondamentale del suo successo elettorale è la capacità di soddisfare simultaneamente strati dell’opinione pubblica che hanno provenienze politiche e formazioni culturale eterogenee – un certo dividendo potrebbe produrlo. Fin dall’inizio con i V-day, Grillo ha teso a conferire al suo movimento l’etichetta di avversario irriducibile del politicamente corretto, e oggi, in una fase in cui il fronte politico, intellettuale e massmediale schierato a favore di un’indiscriminata accoglienza degli immigrati è particolarmente compatto, accettare lo scontro su questo terreno e ampliarlo alla questione della sicurezza non fa che ribadire quella presa di posizione”. Su questo tema poi, aggiunge Tarchi, “la concorrenza è meno agguerrita di qualche anno fa, perché, se si esclude il duo Salvini-Meloni, il resto dell’ex coalizione di centrodestra, timoroso di vedersi accollare l’immagine del Cattivo, si è spostato su posizioni che, più ancora che di estrema moderazione, si potrebbero definire rinunciatarie. Forza Italia, Ncd e spezzoni vari dell’ex-Pdl temono più di ogni altra cosa di essere definiti lepenisti e si sforzano semmai di apparire interlocutori credibili della ex-sinistra di rito renziano”. 

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.