Matteo Renzi e Maria Elena Boschi (foto LaPresse)

Turni, modelli e preferenze come al Monopoli. Ecco il caos elettorale

Salvatore Merlo
La surreale ridda estiva (con molti interessi e tranelli) delle proposte per modificare l'Italicum. In pratica  tutti vogliono cambiarlo, ma appaiono scettici di fronte alle fumose idee alternative degli altri.

Roma. Il record è del Pd, che di proposte di modifica ne sta frullando ben tre, e con una passione davvero ammirevole, quasi mistica e implacabile, malgrado ciascuna di queste proposte risulti abbastanza incompatibile con tutte le altre. Poi ci sono i centristi di Alfano, c’è Vendola e c’è ovviamente Berlusconi, ci sono i Cinque stelle e c’è Salvini, ognuno all’incirca con una propria idea. C’è persino il gruppo misto, quella sacca anonima del Parlamento che ha oggi più deputati dell’Ncd e dell’Udc messi insieme, che ha prodotto pure lei una proposta di riforma elettorale, l’ha annunciata l’onorevole Pino Pisicchio, ed è infatti stata subito ribattezzata pisicchiellum: prevede l’assegnazione del premio di maggioranza dopo il ballottaggio, ma solo se viene raggiunto il quorum del 50 per cento +1 dei votanti: in pratica serve a non far vincere nessuno.

 

Ed ecco allora che, per chi avesse la pazienza di leggere le dichiarazioni dei politici sui quotidiani o il coraggio di consegnarsi alla noia contundente dei talk show, viene componendosi un abbacinante carosello di strategie minuziose, interviste che contengono subliminali dispacci da recapitare agli avversari e ai compagni di partito, millimetrici ammiccamenti rivolti agli alleati, messaggi di fumo, bigliettini e telegrammi. Tutti vogliono cambiare la legge elettorale. E d’altra parte la maggioranza dei parlamentari, come ripete sempre Dario Franceschini allo scettico Renzi, è per modificare l’Italicum. Sembrerebbe dunque cosa fatta, facilissima. Se non fosse che  ciascuno ha la sua proposta, e talvolta dentro un partito o dentro una coalizione le proposte sono anche più di una. E poiché come molte cose di questo paese la legge elettorale ondeggia sistematicamente tra il rimedio salvifico e il male assoluto, alla fine tutti, in questo marasma di enigmatiche entità contabili, tra premi, tetti, quote, bonus, sbarramenti e scorpori, si scambiano botte da orbi come pupi siciliani.

 

Così per esempio Walter Veltroni, assieme ai deputati Nicoletti e Parrini, propone d’inserire l’uninominale dentro l’italicum. Pare che questo sistema si debba chiamare “provincellum”: un po’ maggioritario e un po’ proporzionale, praticamente un trans. Tutti d’accordo? Ma no, ovviamente. La minoranza del Pd non è affatto d’accordo. Speranza e Gotor chiedono infatti che torni il vecchio “mattarellum”, ma, spiegano, “con varianti”. E l’unica cosa chiara è che questo loro sistema eleggerebbe 475 deputati in collegi uninominali.

 

Per il resto si complica parecchio nell’elezione dei restanti 143, tra “premio di governabilità”, “limite totale massimo” e una intricatissima “ripartizione” di seggi tra partiti che “superino il 2 per cento e abbiano almeno venti eletti”. Così Orfini, che pure è d’accordo con Speranza e Gotor sull’eliminazione del secondo turno – chiediamo scusa al lettore ma la confusione è sovrana – dice che la proposta dei “compagni” non va del tutto bene, e insiste dunque per il “modello greco” che – dopo quello spagnolo, tedesco, australiano e israeliano – ci viene spiegato da uno sciamano esperto di sistemi elettorali, “consiste in un solo turno e in un premio predeterminato del 15 per cento da assegnarsi a chi superi il 40 per cento dei voti”. Cioè probabilmente a nessuno. E tutto questo dibattito, dentro e fuori del Pd, prende evidentemente le sembianze di una pazzotica giostra, un carnevale matematico d’inversioni, integrazioni, ibridazioni, attribuzioni, sbarramenti, scorpori, in cui nessuno è d’accordo con nessuno.

 

La prima cosa che si capisce, osservando questo formicolante palcoscenico, e che d’improvviso ci si trova immersi in un universo spersonalizzato, dove le parole di tutti i giorni sono come monete fuori corso, dove i fatti più normali – come per esempio: chi prende più voti vince e governa – si traducono in formule oscure, cioè in mediazioni, spartizioni, dosaggi, percentuali, dividendi, estenuanti esercizi di contabilità del potere. E c’è evidentemente il gusto italiano per le astrattezze. Prendiamo per esempio il Movimento cinque stelle, la cui proposta di riforma elettorale (che in realtà pare non piaccia più nemmeno a loro, ma non possono dirlo) è stata battezzata, con dubbio sforzo di fantasia, “democratellum”. La si potrebbe sintetizzare ricorrendo a questa massima: un po’ per uno non fa male a nessuno. I grillini, anche loro luminari dell’ingegneria istituzionale applicata, suggeriscono infatti una specie di voto totale omnicomprensivo, un proporzionale assoluto, dove tutti prendono qualcosa, con una gigantesca scheda elettorale che prevede – testuale – “preferenze sia positive sia negative”, insomma introduce la penalità, come nel Monopoli. E ovviamente ai grillini non va bene l’italicum, che tuttavia secondo i sondaggi li farebbe vincere, ma non vanno  bene neanche tutte le altre proposte del Pd (che peraltro, come abbiamo visto, non vanno bene neanche al Pd che le propone).

 

In pratica  tutti vogliono cambiare l’Italicum, ma appaiono scettici, quasi si trovino di fronte a venditori ambulanti di lamette per rasoio, di fronte alle fumose idee alternative degli altri. E si registra una certa inafferrabilità bizantina, che come sempre nasconde il pasticcio italiano. Basta guardare Forza Italia che, non meno degli altri partiti, parla più di una lingua, e propone cose tra loro incompatibili e poco chiare: così Stefano Parisi, astro emergente, sembra alludere al proporzionale quando dice che “la maggioranza in Parlamento deve tornare a essere espressione della maggioranza del paese”, ma poi, ogni tanto, nel partito del Cavaliere, Giovanni Toti mormora l’indicibile: “A noi potrebbe andare anche bene l’italicum con il doppio turno”. E insomma la schizofrenia, la mobilità un po’ opportunistica, l’indecisione e la confusione furbesca sono caratteristica comune. E i centristi di Alfano, come sempre, sono un buon esempio: votano l’Italicum, ma lo vogliono modificare (forse). Sono dunque contrari al premio alla lista, ma non ne sono sicuri, poiché in realtà tutto dipende dallo sbarramento: cosa offre più possibilità di rielezione – si chiedono – una coalizione dentro la quale fare il nido, o uno sbarramento così basso che l’entrata in Parlamento è comunque garantita? Chissà.

 

Adesso bisogna soltanto immaginare tutte queste posizioni riunite in una stanza per decidere le modifiche all’Italicum. Ecco un bel tavolo opportunamente litigioso in cui, ciascuno assai compreso del suo ruolo, prendono posto per ciascun partito i campioni della commisurazione mirata, gli stregoni del maggioritario corretto, gli sciamani del proporzionale rivisto, gli alchimisti del sistema greco ibridato. Sicuri che la legge elettorale cambia?

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.