Manifestazione femminista a Napoli nel 2008 (foto laPresse)

“Se non ora, quando?”. Ma senza Berlusconi le femministe sono in crisi

Luciano Capone
Che fine ha fatto il movimento femminista e antiberlusconiano che aveva occupato e riempito le piazze, i giornali e le televisioni?

Roma. “Se non ora quando?”. Mai nome fu più profetico e azzeccato, perché da allora non si sente più. Che fine ha fatto il movimento femminista e antiberlusconiano che aveva occupato e riempito le piazze, i giornali e le televisioni? “C’è un sentimento diffuso d’indignazione e di rabbia per l’intreccio sesso potere che l’inchiesta milanese su Berlusconi sta facendo emergere”, c’era scritto nell’appello alla mobilitazione di Snoq contro “il bunga bunga berlusconiano” che “è tutt’uno con il suo modo d’interpretare il potere e il governo”. Certo, c’era l’antiberlusconismo, ma l’obiettivo era più ampio: “Fare una grande e limpida battaglia politica contro questo sistema di potere e di corruzione, contro la mercificazione del corpo femminile e il modello di relazioni che propone, contro la svalorizzazione del lavoro e della vita delle donne”.

 

Da lì il grande successo di pubblico e di critica della manifestazione di piazza del 13 febbraio 2013, più Ilde Boccassini e meno olgettine, migliaia di adesioni e la nascita di centinaia di circoli in tutta la penisola. Il berlusconismo era forte e l’antiberlusconismo compatto, persino il centrosinistra era unito, i vari femminismi confluivano nella resistenza al “Drago” e le sorelle Comencini andavano d’accordo. Il movimento Snoq aveva un forte impatto sulla vita pubblica, con tutti quegli interessanti discorsi e approfondimenti sulla “mercificazione del corpo delle donne” e sul modello della donna-oggetto imposto dalla pubblicità. Da quel brodo culturale sono nate le idee e le proposte di copertura, in stile Braghettone, delle donne discinte e scosciate nei cartelloni pubblicitari, le campagne contro le veline sopra o sotto le scrivanie televisive.

 

A distanza di sei anni, disarcionato il Cavaliere, le Snoq si sono ritirate a una vita meno attiva, un po’ come il Cav., e si sono ritrovate divise, anzi spaccate, sui temi fondamentali, proprio ora che non c’è più il bunga bunga al governo. Proprio ora che la terza carica dello stato è Laura Boldrini, una donna che sta finalmente innovando al femminile il dizionario e la toponomastica.
Se n’è parlato poco, ma il movimento Snoq si è scisso, da un lato le Snoq-libere di Cristina Comencini e dall’altro le Snoq-factory della sorella Francesca. Alla base della frattura non ci sono motivazioni personali, ma divergenze profonde su temi bioetici, come ad esempio l’utero in affitto. Le Snoq-libere avevano lanciato un appello contro la maternità surrogata: “Il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo – scrivevano – Non possiamo accettare che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato”. A loro avevano risposto le Snoq-factory, ricordando che “la maternità è scelta non destino”. E in mezzo c’erano capitate femministe come Dacia Maraini, che aveva firmato contro l’utero in affitto pur essendo a favore: “Non sapevo che anche loro erano divise”.

 

Certo, la maternità surrogata è un tema delicato, ma le Snoq si sono divise anche sulla “legge antiviolenza”, con Snoq-factory contro “l’impianto prevalentemente securitario” della legge e invece le Snoq-libere che criticavano questa posizione come una “visione antistituzionale”. L’ultima iniziativa che vedeva il movimento compatto è stata la presa di posizione di netta condanna sui “fatti di Colonia”, ovvero sulle aggressioni sessuali di massa da parte di immigrati nordafricani durante la notte di Capodanno. Era partita anche l’interessante proposta di una gita in Germania per partecipare al Carnevale di Colonia in modo da riaffermare la libertà delle donne di stare in piazza. Ma poi non se n’è fatto nulla, un po’ perché il movimento non ha più la capacità di mobilitazione di una volta, ma anche perché sono emersi i dubbi delle Snoq-factory: “Prima di andare in Germania dovremmo interrogarci sul machismo che esiste in tutte le culture, non soltanto di quella islamica”. Insomma, il pensiero va sempre lì: Silvio ritorna. Se non ora, facci sapere quando.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali