Il leader di Fianna Fail, Micheal Martin, parla ai media a proposito dell'accordo raggiunto con il Fine Gael (foto LaPresse)

Il Nazareno irlandese mette insieme i partiti rivali di sempre

Maurizio Stefanini
L'accordo finalmente raggiunto tra i due grandi partiti storici del paese segna la fine di una ormai anacronistica guerra civile virtuale

Roma. “We have an agreement”. Così il ministro dei Trasporti irlandese Paschal Donohoe ha annunciato non solo un accordo tra il Fine Gael e il Fianna Fáil dopo 67 giorni di crisi di governo seguita allo stallo delle ultime elezioni, ma anche la fine di una ormai anacronistica guerra civile virtuale tra i due grandi partiti storici del paese, a cent’anni di distanza da quella Rivolta di Pasqua da cui il 24 aprile del 1916 l’indipendenza irlandese ebbe inizio.

 

Chi ha visto “Michael Collins” sa come appunto il movimento nazionalista protagonista dell’insurrezione di un secolo fa si era poi diviso tra chi aveva accettato una pace di compromesso con Londra e chi l’aveva rifiutata. Tra i primi, appunto, l’eroe protagonista del film, interpretato da Liam Neeson. Tra i secondi, il suo ex sodale e poi rivale Eamon de Valera, colui che sarebbe poi stato presidente d’Irlanda tra il 1959 e il 1973, e che la pellicola dipinge come un maniaco depressivo, geloso di Collins e mandante nel 1922 del suo omicidio. Ebbene, il Fine Gael – in gaelico “Stirpe Irlandese” – partito del primo ministro uscente Enda Kenny, fu fondato nel 1933 dai seguaci di Collins. Il Fianna Fáil, in gaelico “Guerrieri del Destino”, fu fondato nel 1926 da de Valera.

 


Una scena di "Michael Collins", film sulla storia della nascita della Repubblica d'Irlanda. Liam Neeson nei panni di Michael Collins, capo militare degli oppositori contro il governo inglese in Irlanda


 

Fino al disastro provocato al voto del 2011 dalla crisi economica, il Fianna Fáil era sempre stato il primo partito, e il Fine Gael il secondo. Nel 2011 il Fine Gael è diventato primo, e il Fianna Fáil era precipitato al terzo, dietro ai laburisti. Il 26 febbraio, il Fianna Fáil ha recuperato il secondo posto, i laburisti logorati dal governo di austerity con il Fine Gael si sono squagliati, e terzo è arrivato il Sinn Féin: in gaelico “Noi Soli”, partito della rivolta del 1916 prima della divisione, poi braccio politico dell’Ira, da ultimo un Syriza-Podemos celtico. Per la prima volta, nessun governo sarebbe stato possibile senza l’accordo diretto tra Fianna Fáil e Fine Gael, ma mai i due partiti si erano accordati. Cosa in teoria poco comprensibile se ci si attiene alla logica della politica continentale, visto che tutti e due stanno solidamente nel centro-destra moderato.

 

Ma tale è la rivalità viscerale sedimentata in una subcultura di novant’anni che, mentre il Fine Gael nel Parlamento Europeo sta con il Ppe, il Fianna Fáil – dopo essere stato per molti anni con i gollisti – quando questi sono andati a loro volta con i popolari si è messo con i liberali, pur di non stare nello stesso gruppo dei rivali. “Riuscire a farla finita con le divisioni politiche della Guerra Civile sarebbe la cosa migliore per il nostro paese oggi”, era stato l’appello di Kenny. “Superficiale e pretenzioso”, aveva risposto il leader del Fianna Fáil, Micheál Martin. Ma poi, evidentemente, ci ha ripensato. In base all’accordo, Kenny continuerà come capo del governo, con ministri per lo più indipendenti. Il Fianna Fáil si asterrà, anche se per ottenere mercoledì la fiducia, Kenny dovrà contrattare anche l’appoggio di una quindicina di deputati indipendenti.

 

 

 

Un governo della non sfiducia, insomma. I fantasmi di Collins e de Valera sono ancora abbastanza ingombranti da impedire una coalizione organica, e d’altra parte il disastro dei candidati dei partiti della grande coalizione alle presidenziali austriache e il crollo di popolarità nei sondaggi per Cdu-Csu e Spd in Germania inducono alla cautela. Ma anche le incognite del voto anticipato verso cui la Spagna sta andando per l’incomunicabilità tra i suoi partiti rappresentano un’indicazione importante. Uscita a fine 2013 da un bailout internazionale da 67,5 miliardi, nel 2015 l’Irlanda – col 7 per cento – ha avuto il più alto tasso di crescita di tutta l’Unione europea, e la disoccupazione in tre anni si è quasi dimezzata. Assurdo mettere la ripresa a repentaglio per il ricordo di una guerra civile di 94 anni fa.

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