Silvio Berlusconi, a destra, insieme con il candidato di Forza Italia, a Roma, Guido Bertolaso

Ciaone al centrodestra salviniano

Renato Brunetta
Scommettiamo? Berlusconi vincerà le amministrative e dimostrerà che non ha futuro la pretesa di immaginare una coalizione dove Forza Italia si sciolga al sole dei Salvini o delle Meloni. Intanto Guido Bertolaso ha deciso di ritirarsi dalla corsa al Campidoglio. Il partito del Cav. sosterrà la candidatura di Alfio Marchini.
L’intervento di Silvio Berlusconi su “Il Giornale” di domenica scorsa è un manifesto politico ed esistenziale. Chi lo avesse interpretato come una restrizione di campo, un auto-confinamento al centro di Forza Italia, mostrerebbe di non averci capito nulla.  Non a caso ho usato l’aggettivo “esistenziale”: l’intervento va letto pensando alla personalità di chi lo ha scritto, alla forza visionaria di Berlusconi. Il quale non estromette, ma annette, valorizza, amalgama, dando il suo colore inconfondibile all’intera offerta politica. Così, proprio mentre dice dei no chiari a destra, annullando le pretese di inglobare Forza Italia come vocina di contrappunto in un coro estremista, offre a quella stessa destra l’unica possibilità di contare. L’unico modo per vincere, è impedire alla destra di restringere il perimetro, e così il Cavaliere si chiama fuori dall’imboscata romana, e invece di farsi ispirare dal rancore, allarga l’accampamento. Nel momento in cui Lega e Fratelli d’Italia cercano di soffocare il petalo azzurro imponendo le loro soluzioni su Roma, Berlusconi apre a soggetti civici o politici, di centro ma anche francamente di destra, di piantare le proprie tende, convocando lì dentro di nuovo Salvini e Meloni.Questo è il senso della presa di posizione berlusconiana su Bertolaso. Non è una fissazione per non ammettere di aver sbagliato. C’è in questa rigorosa coerenza una magnanimità consapevole, pragmatica e incisiva sul presente.

 

Paradossalmente, indicando senza cedimenti Bertolaso (il quale a sua volta è aperto verso Marchini), apre prospettive di futuro, e mette in luce l’errore strategico, prima ancora che la pochezza politica delle scelte dei suoi storici alleati. C’è stata ad un certo punto la possibilità chiara come il sole di optare a Roma per una scelta oltre i tre petali, appoggiando Alfio Marchini. Sarebbe stata una opzione analoga a quella per Luigi Brugnaro a Venezia. Inizialmente appoggiato solo da Forza Italia e Area popolare, e poi dagli altri amici di centrodestra. Due uomini, Brugnaro e Marchini, decisi ad entrare in politica partendo non dalle sezioni o dai circoli di questo o quel partito, ma per impulso  proprio, convinti di andare oltre gli schemi ideologici. Salvini aveva aderito a questa idea, ma c’è stato il veto insormontabile della Meloni, che ha fatto l’esame del sangue agli avi di Marchini scoprendo che era rosso. Come il semaforo acceso allora da Giorgia.
Risultato: i tre leader propongono insieme la candidatura a Bertolaso. Una figura scelta per la sua capacità operativa, e l’adesione ai valori di fondo del civismo operoso, premiato in tutta Italia dagli elettori. Invece, siccome non ripete gli slogan di Salvini sulle ruspe e i rom, e non lancia anatemi su Giachetti, viene brutalmente giubilato, senza tenere in alcun conto del veto di Berlusconi alla sua estromissione.

 

Berlusconi così insiste su Bertolaso: perché ascolta la realtà e non ne può più, come gli italiani che non votano, dei giochini sotto il tavolo. Ed ecco allora che Berlusconi prende occasione da questa vicenda amarognola, per ribadire l’identità e il ruolo oggi (non ieri) di Forza Italia. Nel far questo non usa l’ideologia, ma la fenomenologia. Cioè Berlusconi racconta la realtà, e naturalmente la interpreta applicando il suo credo, che non è una teoria, ma una fede vissuta nella libertà personale e sociale, religiosa ed economica. Per cui prima di tutto, sopra quello dello Stato, viene il valore sorgivo dell’individuo (liberalismo), inteso come persona relazionata ad altri (cattolicesimo), con pieno diritto alla libera iniziativa, al suo associarsi in famiglia, in politica per realizzare una convivenza sociale pacifica e serena (riformismo). Dove ognuno rispetta profondamente - e questo è qualcosa più della tolleranza - stili di vita, idee, sogni diversi dal proprio. E la democrazia è la strada attraverso cui governare la società e relazionarla al vasto mondo. In questo consiste il metodo liberale. Il metodo liberale è l’unico territorio dove si può aprire un cantiere per un’alleanza di centrodestra vincente. Perimetro largo, posto per tutti, in una chiara alternativa alla sinistra e alle ipotesi di dittatura tramite Rete.

 

Berlusconi chiude alle pretese del lepenismo per dare modo ai lepenisti di non morire mitomani, e di fornire il loro contributo a una nuova Italia, libera e prospera, in una coalizione a cornice liberale, dove non siano presenti solo le tre sigle più accreditate per consensi, ma abbiano piena legittimità di protagonisti movimenti e partiti, che rappresentano la complessità del tempo presente. A nessuno va chiesto di rinunciare a se stesso e alla propria storia. La sintesi è già in nuce nel loro riconoscersi in questo perimetro dove c’è posto per la Meloni e per Lupi, per Storace e per Rotondi, ma anche per i ritorni dei Fitto, dei Mario Mauro, dei Gaetano Quagliariello e della cultura del Popolo della Libertà. La pretesa di semplificare, di eliminare, rottamare, escludere è illiberale e tipica piuttosto di Renzi e di Grillo-Casaleggio, i quali, spianando gli ostacoli interni con l’eliminazione del dissenso, fanno credere di avere la ricetta per semplificare la vita. Come  scrisse Tacito: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”. Hanno creato un deserto, e lo chiamano pace. Invece che “solitudinem” Berlusconi “societatem facit”, e la vita sociale è molteplice, ricca, complessa e si riflette nella ordinata e variegata complessità della coalizione. Alla fine Israele combatté e conquistò la Terra Promessa: ma erano dodici tribù, coese, unite, ma ciascuna con il suo nome e i suoi colori.  
Questa creatività, insieme folle e razionale, coglie impreparato chi non conosce Berlusconi. E mi fa piacere ritrovarmi nel ritratto che ne ha fatto sul Foglio del lunedì Giuliano Ferrara, da cui mi dividono nella contingenza molte cose, in primis il giudizio su Renzi, ma mi unisce qualcosa di più profondo: un’idea della vita e dell’impegno nel mondo, che trova la sua misura nell’affetto per Berlusconi. Anche il direttore Claudio Cerasa, che ringrazio per l’ospitalità, riconosce con simpatia a Berlusconi una vittoria morale e culturale. Lo sottostima: il Cav. sta vincendo anche politicamente, e questo saggio breve ne sta illustrando il perché.

 

Provo qui a svolgere il percorso di realismo politico e liberale, cattolico, riformista e repubblicano implicito nella presa di posizione di Berlusconi.

 

1) La realtà di oggi, con le emergenze che investono la vita dei cittadini, non ha bisogno di stemmi di partito o di posizionamenti ideologici. La politica non deve sventolare libretti neri, rossi o verdi, ma proporre uomini che sappiano spazzar via le macerie del passato, e sappiano “fare” invece che indulgere nei dibattiti. L’oggettività delle buche e dell’immondizia chiedono rimedi operativi, capacità di semplificare la catena delle decisioni, sfoltire radicalmente la burocrazia, eliminando con questo una delle cause scatenanti la corruzione.

 

2) Per osservare senza lenti deformanti i desideri della gente, ed in particolare del ceto medio, due sono i dati più rilevanti. a) Il fronte del non voto. La sua espansione, che coinvolge ormai quasi la metà dei potenziali votanti, è dovuta alla lontananza della politica dalla strada e dalla devastazione del senso di sicurezza, dal prevalere del chiacchiericcio ideologico e delle promesse vacue, rispetto alla gravità dei problemi. b) Nelle elezioni amministrative parziali dello scorso anno, il centrodestra ha ottenuto risultati eccezionali, tenendo conto dello stato di occupazione televisiva e di costrizione del leader di Forza Italia. Ha prevalso a Venezia, ad Arezzo, in Liguria, in Veneto, un modello nuovo. Lo abbiamo chiamato quarto petalo del quadrifoglio.

 

3) In che cosa consista oggi, alla luce dell’intervento recente di Berlusconi, lo si capisce perfettamente. Significa scoprire, accompagnare, valorizzare, riconoscere personalità vincenti emerse dalla trincea del lavoro e da realtà associative vitali. Costoro hanno la caratteristica di essere naturalmente capaci di coagulare intorno al proprio buon senso pragmatico anche chi oggi è lontano dal voto. La storia recente ci dice che queste personalità esprimono un moderatismo che non vuole affatto significare tiepidezza o indecisione (come ricorda Francesco Forte su “Il Giornale”), ma capacità di ascolto, consapevolezza che in politica non ci sono assoluti, salvo la libertà, il rispetto della persona e la dedizione alla comunità. Al contrario, l’estremismo non passa, anche quando appare la risposta breve ed efficace allo tsunami dell’immigrazione.

 

4) La centralità di Forza Italia è nelle cose. Non significa rivendicazione di solitudine o di separatezza dai due petali di destra, che hanno oggi scelto il proprio riferimento europeo nel Front National di Marine Le Pen. Quello che Forza Italia respinge è la mutazione genetica dell’alleanza, per cui si pretende di cambiarne la gerarchia di valori e di ribaltarne il metodo. In Europa il centro moderato si allea con la destra, se vuole vincere. Dove non accade, come in Francia, l’emarginazione rumorosa, ma sterile, è sicura. Osserviamo dove governa il centrodestra: in Liguria, in Lombardia, in Veneto, a Venezia, ad Arezzo, a Perugia, ad Ascoli Piceno e in tante altre città del nord, del centro e soprattutto del sud. Sia che il presidente o il sindaco siano di Forza Italia, o della Lega, o ancora del “quarto petalo”, la linea di governo è quella lì, di centrodestra, non certo lepenista. Toti, Maroni e Zaia non applicano lo slogan dei muri, e non è che sono meno identitari dei rispettivi movimenti di provenienza. Non c’è nulla da fare: la sintesi vincente e pragmatica è moderata e decisa, dialogante e non arroccata. Ed è basata su una moralità che non può prescindere dalla parola data. Le candidature di Parisi a Milano e di Bertolaso a Roma vanno in questa direzione.

 

5) Non ha futuro qualunque pretesa di immaginare una coalizione dove Forza Italia si sciolga al sole di Salvini o della Meloni. Chi lo pensa, commette un gigantesco errore: sottovaluta la capacità di Berlusconi di essere il fulcro di qualsiasi piazza ed alleanza. Andò così nel 1994. Si prestò ad essere semplice collante dell’alleanza tra Bossi e Fini. Lo davano al 7 per cento, con la sua Forza Italia. Alla fine chi sa unire, sa far vincere. Berlusconi ha scelto la strada di perfetta coerenza con la sua storia e la sua natura.

 

6) Uniti si vince, ma l’unità e la vittoria sono uno strumento per realizzare un disegno sull’Italia e sul mondo. È “unità per” un’Italia prospera e libera, liberata da Renzi. Avendo allo stesso tempo un concetto chiaro della collocazione internazionale dell’Italia: in una Europa senza più egemonia tedesca, filoatlantica, ma amica della Federazione Russa, con cui è necessario combattere insieme il terrorismo e affrontare la connessa tragedia di profughi e immigrazione clandestina.

 

7) Lo sbandamento romano è, paradossalmente, una buona occasione per avvitare meglio i bulloni dell’unità, evitando di partire per un viaggio insieme senza aver maturato che cosa ciò significhi e implichi. L’unità è sullo sfondo, ed è inderogabile per la vittoria. Del resto c’è il precedente assai interessante di Venezia. Nella città lagunare la Lega e Fratelli d’Italia parteciparono al voto con due candidati sindaci diversi. Poi furono decisivi nell’appoggiare al ballottaggio il candidato “fucsia”, promosso da Forza Italia e da Area popolare, Luigi Brugnaro, che oggi amministra il Comune con soddisfazione di tutti. Noto un particolare in questa vicenda veneta: si vince insieme, ma al centro. Grazie a una sintesi che sa assumere pienamente le istanze della destra, ma stemperandone non i valori di fondo, bensì la loro espressione in odore di estremismo. Senza questa sintesi al centro, si perde. La storia insegna. E’ accaduto nel 1996, quando la Lega marciò da sola. Ottenne un primato di consensi che servì a lasciare la maggioranza a Prodi. Berlusconi per fortuna alla fine ritrovò, grazie al buon senso di Bossi e Maroni, il bandolo dell’alleanza e venne il trionfo del 2001.

 

8) Del resto, a partire dal pronunciamento del novembre del 1993 a favore di Gianfranco Fini per Roma, Silvio Berlusconi si è posto come federatore creativo e determinato del centrodestra. Nel 1994, quando l’antecedente storico di Fratelli d’Italia, cioè il Movimento sociale non ancora Alleanza nazionale, era incompatibile con la Lega Nord, Berlusconi propose due rassemblement diversi. Uno al Nord con la Lega, uno al centro-sud con il Msi, conducendo gli alleati alla vittoria. Da sempre il Cavaliere si è posto come Bluetooth. La tecnologia Bluetooth (Denti Blu) è nota. Era il soprannome di Re Harald I di Danimarca. Unificò la Scandinavia, rispettando la singolarità dei popoli e delle loro culture. Era detto “denti blu”, perché amava i mirtilli. Be’, Berlusconi è così. Non è sicuro ami i mirtilli, ma unire la gente è la sua passione politica e umana, ed è l’unico capace di questa impresa.

 

9) Che fare allora? L’unità piena è l’esito di un lavoro di lunga lena, che esige l’apertura di un cantiere comune. Ma questo cantiere costruirà ponti verso il futuro solo se metteremo insieme non ideologie su cui litigare, egemonie da esercitare, ma esperienze da cui ricavare insieme programmi, progetti, regole, gerarchie di valori, come esito di un’azione politica sul campo, fatta di obiettivi pratici e comprensibili. Valorizzando, senza pregiudizi ma con magnanimità, anche chi non è stato generato dai lombi del centrodestra, come ad esempio Alfio Marchini. Meno ragionamenti e più osservazione della realtà.

 

10) Ci si parano davanti emergenze catalogabili sotto quattro titoli. Emergenza terrorismo islamista. Emergenza democratica (siamo al terzo governo non eletto dal popolo). Emergenza economica ed europea. Emergenza giustizia. Ad esse può dare una risposta efficace solo una vasta coalizione di movimenti e partiti che abbiano Berlusconi come catalizzatore: è nata così la candidatura e il programma potenzialmente vincenti di Stefano Parisi a Milano. Non è qui il luogo per indicare soluzioni. Ci basti aver indicato il metodo.

 

Il referendum confermativo di ottobre dev’essere l’ambito privilegiato in cui dall’unità sul campo delle forze di centrodestra possano scaturire energie nuove, così che da questa battaglia per una democrazia davvero liberale e repubblicana emergano personalità coraggiose e vincenti, una classe politica autenticamente vicina alla realtà dei bisogni e dei desideri della gente.
Ecco una prima riflessione a caldo di quello che ci sta succedendo: la strada maestra è il confronto. Con le scomuniche reciproche e le reciproche accuse non si fa un solo passo in avanti. Nella solitudine. E vince Renzi.

 

Renato Brunetta è il capogruppo alla Camera di Forza Italia