2011-2016. De Magistris, Emiliano e l'ossessione di far resuscitare la “Cosa arancione” (fallita)
Roma. Il miracolo annunciato s’è perso nei meandri della realtà, e però il miraggio persiste: a ogni giro elettorale amministrativo (ma c’è chi pensa anche più in grande) le sommerse forze “né-né” (né centrodestra né centrosinistra, e soprattutto non governative, qualunque sia la forza politica al governo) vagheggiano il passato vittorioso ed effimero che fu, e cioè i giorni della cosiddetta “rivoluzione arancione”, dislocata da nord a sud (da Milano a Napoli a Cagliari a Genova) e perlopiù fallita da nord a sud: i sindaci “arancioni”, infatti, da Giuliano Pisapia a Milano a Marco Doria a Genova a Massimo Zedda a Cagliari al Luigi De Magistris pur ricandidato a Napoli, non hanno, come direbbe il De Magistris medesimo, “scassato” come da aspettative e previsioni. Anzi. Le aspirazioni rivoluzionarie si sono ben presto scontrate con problemi non aggirabili con un appello alla forza pura della società civile: monnezza, inchieste, torrenti in piena, appalti, assessori riottosi, pedonalizzazioni, inimicizie e più di ogni altra cosa la riemersione di una dimensione prettamente “politica”.
Dubbio tipico: come restare “arancioni” tra partiti che comunque siedono in consiglio e si organizzano tra correnti e alleanze variabili?. E quando oggi si vede che il disegno di una “Cosa arancione bis” prende forma tra le righe delle dichiarazioni post referendum sulle trivelle, in quel fronte del “sì” che sperava di raggiungere il quorum in chiave anti-renziana e anti-establishment, non si può fare a meno di pensare: ancora? Uguale pare infatti il protocollo: si cercano Papi arancioni, stavolta, non tanto per le città, quanto per lanciarsi verso il referendum d’ottobre, quello sulle riforme costituzionali, ma anche per fare prove generali, a partire dalle urne amministrative di giugno, per le possibili elezioni politiche anticipate del 2017. E, come ai tempi della “primavera arancione”, si cerca intanto di aggregare malcontento e dunque consenso trasversale che possa rinnovare la ricorrente favola dell’alternativa civile.
Michele Emiliano (foto LaPresse)
Ecco infatti il governatore pugliese Michele Emiliano, uomo della dissidenza pd anche stilisticamente affine all’arancione sindaco di Napoli Luigi De Magistris (gli manca la bandana, ma non il modo tribunizio-disintermediatore), che fuori e dentro il partito si fa portatore di istanze anti-premier e anti-Palazzo in senso lato: strabordante nell’impeto, nell’eloquio e nel sembiante, Emiliano può farsi forte, nell’ottica di un nuovo sogno arancione, della sua storia di uomo “non d’apparato” partitico, e cioè di ex magistrato antimafia non cresciuto all’interno della scuola-quadri dell’ex Pci-Pds-Ds. Non è detto che le trivelle siano davvero state il predellino per il lancio di una “Cosa Arancione bis” prossima ventura, ma la tentazione si fa strada nei quartieri del borbottio e del sempiterno “allarme democratico”, in combinazione con settori fuoriusciti del grillismo e con il popolo cangiante dei movimenti “aria-acqua-terra”: anti ogm, pro kilometro zero, anti-inquinamento (anche senza guardare al dettaglio).
E se è vero che i rassemblement arancioni si sono rivelati all’epoca vincenti, e che a Napoli il De Magistris ricandidato – sondaggi alla mano – si sente ottimista, è pure vero che dal 2011-’12 a oggi né lui né Doria né Pisapia e neppure il più defilato Zedda hanno potuto evitare di trovarsi defenestrati da follower e attivisti in più occasioni: De Magistris quando è stato sospeso dall’incarico dopo la condanna per abuso d’ufficio risalente a quando era pm a Catanzaro (inchiesta “Why not”); Doria quando, nel day after dell’alluvione a Genova, travolto dalle critiche, si lasciò sfuggire sul Corriere della Sera uno sconsolatissimo “chi me lo fa fare?”, Zedda quando un’orda di ex fan, nell’estate cagliaritana, lo accusò di aver trasformato il capoluogo sardo in una “città per vecchi” e di “rubare il lavoro ai giovani”. Infine Pisapia, così esteticamente e stilisticamente difforme dall’omologo napoletano “Giggetto lo scassatutto”, quando, nei lunghi mesi pre-Expo, non poté certo più incarnare, nelle menti dei suoi sostenitori apartitici e anticasta, l’utopia della primavera arancione “dal basso” che aveva preso piede in tempi di governi tecnici e pre-grillini (lo Tsunami 2013 del M5s era ancora di là da venire). Così, poco più di un anno fa, i tre “arancioni” Pisapia, Doria e Zedda si sono affacciati timidamente sui giornali con un appello politico un po’ lunare: riflettiamo sull’unità a sinistra, dicevano, ricordiamoci che si vince con lo schema “Pd+Sel” – e peccato che le sinistre unite nelle loro città fossero in realtà percorse da mugugni, borbottii e liti.
Emiliano, intanto, nella nuova veste di “paladino” degli arancioni sommersi e/o inconsapevoli che albergano nella minoranza pd e nei movimenti extra-Pd, non dice più a De Magistris, come nell’ottobre 2013, “non è possibile governare Napoli con un rapporto diretto tra leader e popolo”, e non racconta con grancassa di quando lui stesso, da sindaco di Bari, aveva smesso la veste “del capopopolo” per “diventare un uomo politico”.
Equilibri istituzionali