Maurizio Landini (foto LaPresse)

La vuota retorica di Landini

Redazione

Incastrando la Cgil in un referendum contro il Jobs act vengono fuori gli antiriformismisti e le nostalgie di concertazione. Il leader della Fiom cerca di dare uno sfondo politico alla manifestazione dei metalmeccanici del fine settimana. I dubbi dei rappresentati.

 

Maurizio Landini cerca di dare uno sfondo politico alla manifestazione dei metalmeccanici dalla Fiom del fine settimana alzando la bandiera del referendum abrogativo della legge che ha introdotto le assunzioni a tutele crescenti, detta Jobs act, e, già che c’è, aggiunge anche la richiesta di abrogare la riforma della scuola. L’indizione del referendum, che si svolgerebbe comunque solo nel 2017, sarà sottoposta a sua volta a referendum all’interno della Cgil, che non ha ancora deciso se appoggiarlo. In sostanza le altre categorie della confederazione rossa non hanno voglia di impegnarsi in una battaglia persa in partenza e che ha solo un senso politico. Nessuno ha chiesto, nelle piattaforme o negli accordi  di rinnovo dei contratti di lavoro una deroga al Jobs act, tutti sanno che in pochi mesi sono state effettuate più di un milione di assunzioni a tempo determinato, grazie appunto alla nuova normativa e al regime fiscale favorevole a questo tipo di assunzioni.

 

La tesi elementare di Landini – secondo cui “quando le leggi sono sbagliate bisogna cambiarle” – è basata su un giudizio liquidatorio e sostanzialmente infondato su “una legge che rende più facili i licenziamenti e non crea posti di lavoro”. Non è così, almeno a vedere i dati concreti, e in ogni caso la strada referendaria è la meno adatta, almeno se si considerano i precedenti. Fallì il referendum contro il patto di San Valentino e, per guardare a tempi più recenti, nelle fabbriche della Fiat i referendum tra i lavoratori hanno regolarmente bocciato le proposte antagonistiche della Fiom.

 

[**Video_box_2**]Chiamare a decidere l’intero elettorato riduce ulteriormente la possibilità che una posizione, già minoritaria tra i lavoratori, diventi invece maggioritaria. In realtà la Cgil farebbe volentieri a meno di infilarsi in questo vicolo cieco, ma Landini è in grado di esercitare una pressione basandosi sulla nostalgia per la concertazione che ha indotto la confederazione a esprimersi contro le innovazioni, non tanto per il loro contenuto, ma perché sono state introdotte dal governo (e approvate dal Parlamento) senza riconoscere un diritto di veto ai sindacati. Così ora Susanna Camusso si trova invischiata nelle conseguenze della sua avventata retorica.

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