Fabrizio Palenzona (foto LaPresse)

Se la “mafia” diventa il doping di ogni inchiesta spompata

Renzo Rosati
Il teorema giudiziario-mafioso-finanziario su Palenzona (Unicredit) è durato 21 giorni. “L’Unicredit non approvò alcun piano di ristrutturazione del debito di Bulgarella”, dice l’ordinanza, e “la considerazione di Bulgarella non era certo quella di un imprenditore colluso con la mafia, ma l’esatto contrario”. A Roma, il romanzo fa già sentenza.

Roma. Giuseppe Creazzo, chi è costui? E’ il capo della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, e detiene un record: il teorema giudiziario-mafioso-finanziario con vita più breve. Indagine lanciata l’8 ottobre tra paginate di giornali e intercettazioni sul costruttore siciliano Andrea Bulgarella e sul vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona, sullo sfondo un evergreen quale il boss Matteo Messina Denaro. Inchiesta smantellata il 30 ottobre dal Tribunale del riesame fiorentino, che ha demolito i due pilastri della procura: che Palenzona avesse concesso finanziamenti di favore a Bulgarella, e che quest’ultimo abbia legami con il più famoso latitante di Cosa nostra. “L’Unicredit non approvò alcun piano di ristrutturazione del debito di Bulgarella”, dice l’ordinanza, e “la considerazione di Bulgarella non era certo quella di un imprenditore colluso con la mafia, ma l’esatto contrario”.

 

Con un simile K.O. ci si possono chiedere almeno tre cose.

 

La prima: il procuratore Creazzo continuerà a lavorare all’antimafia di Firenze, magari proprio all’indagine Palenzona-Bulgarella (infatti queste vicende diventano anche medaglie al valore, vedi Antonio Ingroia e Luigi De Magistris), oppure il Csm lo manderà a chiamare?

 

Seconda cosa: Mafia Capitale, il maxi-processo romano, apre i battenti fra tre giorni preceduto dalla grancassa che sappiamo. Il dubbio che della parola mafia si faccia uso e abuso a sproposito troverà cittadinanza anche nell’aula Occorsio?

 

Terzo: ci sono evidenze di una riflessione, se non dell’avvio di un’autocritica, nella magistratura e nel circo che l’accompagna, magari sulla scia dello scambio di accuse – sul versante però dei rapporti con la politica – tra Raffaele Cantone e l’associazione magistrati?

 

[**Video_box_2**]A far dubitare delle buone intenzioni c’è intanto un dettaglio, piccolo ma indicativo. Andatevi a vedere sui grandi giornali le firme che illustrarono l’impianto di accuse per Palenzona e Bulgarella, nobilitando le intercettazioni che oggi vengono lette al contrario, e quelle che raccontano l’ordinanza del Riesame. Sono gli stessi giornalisti? Neanche per idea: caso singolare di separazione delle carriere. Punto due: per la sentenza garantista di Firenze sono bastati 21 giorni. Quanto basta per creare qualche sussulto tra i risparmiatori. Di smottamenti, in Borsa, se n’è visti anche in seguito ai casi che hanno coinvolto Giuseppe Orsi (Finmeccanica), Paolo Scaroni (Eni), e Silvio Scaglia (Fastweb) rispettivamente prosciolto, assolto e prosciolto. E poi: il persistere del reato di concorso esterno in associazione mafiosa – che nella vicenda Palenzona-Bulgarella non ha fatto in tempo a concretizzarsi, ma hai visto mai… – dichiarato nullo dalla Corte europea dei diritti umani per Bruno Contrada, ma sistematicamente tirato in ballo (Marcello Dell’Utri sta scontando sette anni nel carcere di Parma). Mai definito dal Parlamento, quel reato, secondo Giovanni Fiandaca, uno dei più grandi giuristi italiani, è la dimostrazione di come “il legislatore non faccia il suo dovere e dunque la magistratura si sostituisca alle leggi”. Uno degli ultimi parlamentari che ne presentò una formulazione certa, compresa la pena, fu Luigi Compagna nel 2013. Pietro Grasso, appena trasmigrato dalla Direzione nazionale antimafia alla presidenza del Senato, lo stese così: “La proposta Compagna è una vergogna. Spero che non la ripresentino”. Vedremo se a Roma la procura cadrà nelle stesse vecchie tentazioni, se quello che si apre tra poche ore sarà il circo di sempre. Con le solite firme sui giornali e i soliti talk-show. A Firenze un giudice c’è stato. A Roma per ora neppure l’ombra.

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