Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Il piano di Renzi per votare nel 2017

Redazione
Ma la legge elettorale verrà modificata o no? Il nodo è tutto qui. E non riguarda soltanto la minoranza del Partito democratico.

Al Senato cresce la maggioranza che sostiene la riforma proposta dal governo e che ora raggiunge quota 177. Nelle votazioni di ieri infatti l'asticella a favore della riforma del Senato si era fermata a 171. Questa mattina è arrivato il via libera al cosiddetto "canguro" che permette di saltare la votazione dei rimanenti emendamenti al primo articolo del disegno di legge, grazie a questo espediente la maggioranza di governo ha potuto annullare complessivamente 220 pagine di emendamenti e scongiurare l’ipotesi di pericolose votazioni a scrutinio segreto. Le opposizioni (soprattutto Lega e Cinque Stelle) continuano in tentativi di ostruzionismo e annunciano che si rifiuteranno di partecipare al voto.

 

Italicum e scissione. Ufficialmente la minoranza del Partito democratico ha dovuto fare retromarcia sulla riforma costituzionale a causa dei sondaggi. Tutti gli istituti di ricerca, infatti, rilevavano che il popolo del Pd giudicava poco comprensibile la battaglia degli oppositori interni di Matteo Renzi. Di più: gli elettori temevano che, con quell’atteggiamento, alla fine i bersaniani avrebbero potuto rovesciare il governo di centrosinistra. Ma questa, appunto, è solo la spiegazione ufficiale. Quella che lo stesso Pier Luigi Bersani ha fornito ai suoi interlocutori in questi giorni di passione: “La gente non ci capirebbe”. Però sono sempre i sondaggi a dire che la fetta di sinistra dell’elettorato democratico non ha apprezzato il dietro front della minoranza. Già non è piaciuta l’idea di un compromesso al ribasso, se non di una vera e propria resa al presidente del Consiglio. Ma la verità è che gli oppositori del premier hanno dovuto togliere il piede dall’acceleratore per un altro motivo: perché se fossero andati avanti fino in fondo avrebbero dovuto trarne le dovute conseguenze. Il che significa che avrebbero dovuto compiere lo strappo con la s maiuscola, consumando la scissione. Però i bersaniani non sono ancora pronti a compiere questo passo, non fino a quando la legge elettorale rende difficili le cose per loro. E’ per questa ragione che si sono fermati. E Renzi lo sapeva, lo dava per scontato: “Con l’Italicum non possono fare la scissione a cui tiene tanto D’Alema”.

 

Cambiare la legge, chi dice sì. Ma la legge elettorale verrà modificata o no? Il nodo è tutto qui. E non riguarda soltanto la minoranza del Partito democratico. A fare il tifo per una modifica dell’Italicum che dia il premio di maggioranza alle coalizioni e non ai partiti c’è anche il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Il ministro dell’Interno ha raccontato ai suoi che il presidente del Consiglio gli ha garantito che alla fine la riforma verrà modificata nel senso da lui auspicato, ma che questo accadrà solo alla fine della legislatura. Quindi, per ora, acqua in bocca. Meglio non affrontare l’argomento. Renzi, però, in diversi consessi, pubblicamente o meno, ha detto che sarebbe “un’assurdità” modificare una legge appena varata dal Parlamento e ha lasciato intendere che più dello scontro diretto con Beppe Grillo teme la possibilità che il centrodestra si riaggreghi in qualche modo. Chi dice la verità? Il titolare del Viminale, che ha bisogno come il pane di veder cambiata la legge elettorale perché questo gli consentirebbe di non doversi intruppare con Silvio Berlusconi e di trovare invece un’alleanza con il Pd? O piuttosto la dice il premier? Al Nuovo centrodestra temono che la verità sia una terza. E cioè sono convinti che il presidente del Consiglio abbia effettivamente lasciato intendere al loro leader che c’è la possibilità di apportare modifiche verso la fine della legislatura, ma che quella fine sia più prossima di quanto la immagini Alfano. E più repentina. Il che non consentirebbe di poter metter mano all’Italicum. Sì, dentro Ncd si sta facendo strada la convinzione che Renzi stia prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di andare a votare nel 2017. Nei primi mesi del 2017, per essere precisi. Ossia a febbraio, qualche mese dopo il referendum consultivo sulla riforma costituzionale che, nella sua testa, dovrebbe fare da volano alle elezioni politiche.

 

Poi arriva Roma. E nel 2017 si andrebbe a quel punto a votare anche a Roma. Non prima. E soprattutto non per fare le elezioni amministrative della capitale senza l’abbinata con le politiche. Il presidente del Consiglio, infatti, è sicuro che il centrosinistra, vista la disastrosa gestione di Ignazio Marino, non ha nessuna chance. L’unica possibilità consiste nello sfruttare il traino delle elezioni politiche, dove scenderebbe in campo direttamente Matteo Renzi.

 

[**Video_box_2**]Versione ufficiale. Renzi però formalmente nega che questa sia la sua intenzione. Continua a ripetere che lui vuole arrivare fino al 2018. Ma i suoi fedelissimi ormai parlano apertamente dell’ipotesi di uno scioglimento della legislatura anticipato di un anno: “Matteo andrà a votare prima che il centrodestra abbia la possibilità di riorganizzarsi e di trovare un nuovo leader” è il ragionamento che fanno gli uomini più vicini al presidente del Consiglio.

 

Grasso, con calma. Intanto, però, elezioni politiche o meno, c’è da sbrigliare la matassa della riforma costituzionale al Senato. Ed è di questo che si è occupato ieri il premier, il quale ha ricevuto da un insolitamente mansueto Pietro Grasso le rassicurazioni che voleva: per l’articolo 2 del disegno di legge Boschi si attuerà il principio della copia conforme. Insomma, niente scherzetti.