Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Pazza idea di Renzi: via la tassa sulla prima casa

Claudio Cerasa
Il governo chiederà all’Europa di sforare il deficit per tagliare le imposte (anche la nuova Imu) - di Claudio Cerasa

Addio Imu? Cioè, addio Tasi? Lo avevamo scritto qualche giorno fa su questo giornale e oggi come ieri il punto ci sembra ancora evidente. Domanda: cosa può fare Renzi per sopravvivere alla “prova costume” ed evitare che nel giro di pochi mesi il consenso – suo, del Pd e del governo – finisca rosicchiato sotto l’ombrellone come un topolino con il formaggio? Per essere ancora più precisi: esiste un modo per evitare che i pasticci mediatici e politici commessi sulla scuola e sull’immigrazione proiettino nel breve termine il percorso del governo su un binario non troppo diverso da quello letale imboccato, due anni fa, dall’ex presidente del Consiglio Enrico Letta? Abbiamo scritto su questo giornale che l’unica risposta possibile e credibile che Matteo Renzi potrebbe dare per permettere al governo e al paese di riacquisire slancio è quella di programmare dopo l’estate e in previsione della prossima legge di stabilità un piano choc di tagli alle tasse. E la notizia di queste ore, che risulta al Foglio, è che quel piano ora esiste e, seppure sia ancora in uno stato embrionale, prevede alcuni passaggi che il governo proverà a mettere in fila nei prossimi mesi e che il presidente del Consiglio ha intenzione di annunciare dopo la pausa estiva.

 

L’idea di Renzi è quella di costruire un robusto pacchetto di taglio della pressione fiscale con due ingredienti che toccano da una parte le imprese e dall’altro le persone fisiche. E dunque: un nuovo taglio all’Irap, che si aggiungerebbe a quello mini da 6,5 miliardi già inserito nell’ultima legge di stabilità, e in secondo luogo l’abolizione totale dell’Imu sulla prima casa (che oggi si chiama Tasi). La stima di Palazzo Chigi è che il valore delle due misure valga intorno ai trenta miliardi di euro, e considerando che al momento la presidenza del Consiglio non è intenzionata a procedere nel breve termine a misure clamorose di riduzione della spesa pubblica, il piano prevede una richiesta esplicita che verrà presentata dal governo in Europa in sede di legge di stabilità, e che in un certo senso è collegata anche al percorso delle riforme costituzionali. I passaggi sono due. Primo: approvazione in tempi rapidi al Senato, entro la fine dell’estate, delle riforme costituzionali, senza concessioni alla minoranza del Pd e con l’aiuto di quella fetta di parlamentari in uscita da Forza Italia che darà una mano al governo per evitare di ritardare l’approvazione del disegno di legge in seconda lettura. Secondo: in virtù del pacchetto di riforme approvato, presentarsi dai capi di governo europei e chiedere, per l’Italia, le stesse concessioni offerte negli ultimi anni alla Spagna e alla Francia – un aumento del deficit di due punti percentuali, dal valore di trenta miliardi di euro, da destinare interamente alla riduzione della pressione fiscale – utilizzando così lo stesso percorso che ha permesso al governo francese di Hollande e a quello spagnolo di Rajoy di arrivare nel 2014 rispettivamente al 4,4 per cento di deficit e al 5,5 per cento. La mossa di Renzi segna non solo una discontinuità significativa rispetto ai tempi della serietà al governo (Prodi) e della tecnica al governo (Monti), ma indica anche un chiaro posizionamento che risponde a un problema con cui si ritrova a fare i conti il governo Leopolda. Il presidente del Consiglio, come si sa, oggi vive all’interno di un imbuto politico che vede da un lato una lenta e progressiva erosione di consenso dalla parte sinistra del partito, dovuta alla forza centripeta sprigionata dal governo, e dall’altro lato una lenta e progressiva perdita di appeal rispetto a quell’elettorato moderato che giorno dopo giorno mostra di essere sempre meno incuriosito dal percorso del renzismo.

 

[**Video_box_2**]La mossa sulle tasse, e in particolare sulla vecchia Imu, mossa speculare a quella fatta in campagna elettorale da Berlusconi nel 2006 e nel 2013, potrebbe avere l’effetto di riscaldare i cuori dell’elettorato berlusconiano, in cerca di un autore non salviniano. E in prospettiva permetterebbe anche – dettaglio non secondario – di offrire al gruppo di quei parlamentari (Forza Italia, Lega, Gal) tentati di appoggiare il governo un pretesto utile per avvicinarsi con maggiore velocità alla maggioranza renziana – la nascita di un nuovo gruppo parlamentare è questione di giorni. Il dossier dunque contiene tutti questi elementi, ma costituisce anche un terreno fertile per lanciare una doppia e ulteriore sfida, sia all’Europa dell’inflessibilità (a vocazione tedesca) sia all’Europa della demagogia (a vocazione greca). Senso del ragionamento: è arrivato il momento di dimostrare che le porte della flessibilità sono aperte per i paesi che fanno le riforme e i compiti a casa e non per quei paesi che alla logica delle regole contrappongono la logica dei furbetti del ricattino. Il piano è questo ed è allo studio di Palazzo Chigi. Vedremo nelle prossime settimane se Renzi avrà il coraggio di portarlo fino in fondo.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.