Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi alla prova costume

Claudio Cerasa
C’è un nemico invisibile che, come un topo nel formaggio, nei prossimi giorni comincerà a rosicchiare ciò che resta della polpa del governo Renzi. Quel nemico non si nasconde tra le file della minoranza del Pd o i post della dissidenza grillina, ma si trova in un luogo insospettabile.

C’è un nemico invisibile che, come un topo nel formaggio, nei prossimi giorni comincerà a rosicchiare ciò che resta della polpa del governo Renzi. Quel nemico non si nasconde tra le file della minoranza del Pd o i post della dissidenza grillina, ma si trova in un luogo insospettabile: là dove, senza un nuovo viagra politico, il renzismo rischia di sciogliersi come neve al sole. Pluf. Il problema sembra banale ma è cruciale per la sopravvivenza della narazziò del presidente del Consiglio. La mettiamo giù così: riuscirà il governo a superare la prova costume e a sopravvivere emotivamente e politicamente al chiacchiericcio leggero e capillare della magnifica Italia sdraiata sotto l’ombrellone? Non è necessario consultare studi demoscopici per capire che i due temi sui quali si è andata a infrangere la nave renziana – scuola e immigrazione – sono argomenti che fanno male al governo in misura direttamente proporzionale a quanto (sempre più) se ne parla. Sulla scuola, va detto che non è andato tutto per il verso giusto a Renzi, che sull’onda dell’entusiasmo ha affidato la riforma più a un’idea astratta, che a una precisa valutazione dei problemi. E per un politico che si ispira a Blair, che ha costruito le radici della sua carriera sull’education-education-education, non è il massimo arrivare ora a pensare che questa riforma sarebbe meglio non farla più, e approfittarne per risparmiare un miliardo.

 

Stessa storia per l’immigrazione, anche se qui il problema è più mediatico che politico (anche se non esiste un problema che, essendo mediatico, non sia anche politico). Qui l’errore del premier è quello di non essere riuscito a trovare una posizione chiara tra due messaggi efficaci: il fronte dell’accogliamoli tutti (dalla Cei fino al boldrinismo) e il fronte dell’aiuto, moriremo tutti di scabbia, basta invasione (Lega). Modi per uscirne ce ne sono, parecchi, ma l’unica chiave che ha il governo per evitare che il topolino rosicchi quel che resta del formaggio è rilanciare e puntare su un tema che abbia la forza di disegnare un orizzonte di speranza, per i bagnanti e anche per il paese: le tasse, signora mia. Già, ma come? Le leve esistono, le proposte girano, ma il governo tentenna e balbetta senza rendersi conto che non esiste altro modo per tornare a parlare a un pubblico più largo rispetto a quello rappresentato dal Pd se non agire seguendo due filoni. Uno: inserire nel disegno di legge sulla Pubblica amministrazione un calcolo preventivo, e preciso, delle voci di spesa che si vogliono risparmiare e vincolare quei risparmi non a una generica riduzione della pressione fiscale ma a un azzeramento progressivo dell’Irap: il costo dell’operazione è alto, 40 miliardi, ma non per chi vuole governare fino al 2024 e non vuole ragionare pensando solo alle prossime elezioni.

 

[**Video_box_2**]Sepoffa’. Un’altra strada, difficile ma percorribile, rischiosa e forse utopistica, è quella di sfidare l’Europa sulle tasse provando a impostare un percorso che permetta all’Italia di arrivare alla prossima legge di stabilità contrattando, a fronte di un percorso virtuoso sulle riforme, uno sconto sul deficit (1,8 previsto per il 2016) da destinare al taglio delle tasse. E’ una strada difficile ma si può percorrere, senza prescindere però dal vero messaggio che permetterebbe al governo di sfidare gli ombrelloni: destinare all’abbassamento delle tasse ciò che arriverà dalla lotta agli sprechi. E’ l’unica chiave, forse, anche per mettere una toppa al caso Marino, e dimostrare che l’illegalità non si combatte col moralismo, ma con l’efficienza. Sfida tosta, non diremo impossibile. Ma il topolino è già sulla sdraio, pronto a rivolgersi al governo con lo stile che sappiamo: tu m’hai provocato, e io me te magno.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.