Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché a Renzi manca una vera base sociale

Redazione
La “solitudine” del premier è la conseguenza, non la causa, della sua condizione di leader che può contare su una vasta platea elettorale ma che non sembra in grado di trasformarla in una base sociale.

Le critiche rivolte a Matteo Renzi per il suo stile di direzione, l’evocazione sarcastica  dell’uomo “solo al comando” si fermano alla contestazione di un modo di fare, ma sarebbero forse più convincenti se fossero basate sulla ricerca delle cause di questo fenomeno.

 

La “solitudine” di Renzi è la conseguenza, non la causa, della sua condizione di leader che può contare su una vasta platea elettorale ma che non sembra in grado di trasformarla in una base sociale. Non c’è bisogno di avere una visione classista della battaglia politica per considerare fondamentale l’esistenza di una base sociale, cioè di un’area di influenza permanente innervata da un sistema di mediazione culturale (che non significa intellettualistica). Renzi ha scalato un partito in crisi di leadership e poi ha su questa base rivendicato e ottenuto la guida del governo. Ha ricevuto un mandato legittimo, interno e per certi versi anche internazionale, e lo esercita con iniziativa e ritmo quasi forsennato.

 

Attorno a sé, però, ha degli spettatori un po’ attoniti, ma non riesce a costruire un sistema di relazioni che costituiscano la trama che consolidi il consenso elettorale trasformandolo in base politica. Il fatto che la grande stampa, le rappresentanze sociali, i ceti intellettuali, la corporazione scolastica, si collocano in un arco di posizioni che va dall’indifferenza all’aperta opposizione è un segno evidente di questa carenza.

 

Renzi non è uno sprovveduto, non rincorre certo le pose fanfaronesche del “tanti nemici tanto onore”, ma non presta l’attenzione necessaria all’esigenza di consolidare il consenso trasformandolo in base politica permanente. Il modo in cui ha rifiutato un confronto reale anche con il sindacalismo moderato della Cisl che sembrava interessata a un dialogo sulla base del pragmatismo, il modo in cui ha impostato la battaglia per la riforma della scuola senza riuscire a mobilitare neppure l’area di consenso che, seppure minoritaria, esiste sicuramente anche in quell’ambiente, sono esempi abbastanza evidenti di questa situazione.

 

[**Video_box_2**]Si dirà che per compiere questa operazione ci vorrebbe un partito, ma Renzi è anche segretario del più votato dei partiti. Però sembra che occupi quella carica solo per evitare che lì ci sia qualcun altro. Anche il modo in cui ha gestito la dialettica interna al Pd, riducendolo a pura cassa di risonanza (talora cacofonica) dell’azione quotidiana del governo, senza uno spazio per il confronto sulle prospettive di maggiore portata temporale finisce per rendere inefficace lo strumento partito per la costruzione di una base sociale. Naturalmente questi difetti si vedono poco finché non esiste una opposizione competitiva, ma se non saranno corretti in tempi ragionevoli rischiano di rendere fragile una leadership apparentemente inattaccabile.

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