Un sogno chiamato Florida

Il film di Sean Baker, con Willem Dafoe, Brooklynn Prince, Bria Vinaite, Valeria Cotto (Netflix)

Mariarosa Mancuso

Sean Baker si era fatto notare nel 2015 con “Tangerine”, girato con uno smartphone. Per “Un sogno chiamato Florida” ha potuto scegliere – è anche questione di costi – il più tradizionale 35 millimetri. Se non per qualche scena ripresa con una videocamera nascosta a Disney World, la ditta è attentissima alla propria immagine. Sulla carta, il tipo di film che non vorremmo vedere mai. Ragazzini urlanti, anzitutto, in numero di tre: la seienne Moonee, che guida il gruppo, l’amica dai capelli rossi Jancey, il maschio a rimorchio Scooty. Ambiente misero che più non si potrebbe, realisticamente ritratto (non virato sul grottesco come in “Tonya” di Craig Gillespie). Un gelato diviso in tre, l’affitto che non si sa mai come pagarlo – la mamma, tatuatissima sotto la canottiera e i calzoncini, non pare avere un lavoro regolare, passa il tempo sul divano strafatta a guardare la tv. Un uomo poco raccomandabile si aggira nei dintorni. Un materasso da bruciare quando proprio non si sa come svoltare il pomeriggio, esaurita la gara di sputi. Siamo un un sobborgo di Orlando, fa da sfondo un motel dipinto di viola, con le porte sui ballatoi ancora più viola, pomposamente chiamato Magic Castle (la tappa prima della roulotte, se non fosse per qualche turista che ha sbagliato la prenotazione online). Lo gestisce Willem Dafoe, candidato all’Oscar come attore non protagonista – bravo bravo, ma non quanto Brooklynn Prince, che ha sette anni e lavora come modella e attrice per la pubblicità da quando ne aveva due. Per l’Academy il film non aveva altri meriti, viene il sospetto che non l’abbiano visto. Era in tutte le liste dei dieci migliori film girati nel 2017: cogliere l’occasione al volo, se non l’avete già visto. Originale con sottotitoli, please. Lo dovete agli attori ragazzini.

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