Pet sematary

di Dennis Widmyer e Kevin Kolsch, con Jason Clarke, Amy Seimetz, John Lithgow

Mariarosa Mancuso

Il romanzo di Stephen King era molto spaventoso. Come era molto spaventoso il racconto che aveva fornito lo spunto: “La zampa di scimmia” (Monkeypaw è il nome della casa di produzione di Jordan Peele, il regista di “Noi”). Tre desideri, il primo è formulato male (e il malcapitato se ne accorge con orrore). Con il secondo cerca di rimediare allo sbaglio, rischiando grosso un’altra volta. “Sematary” è la grafia infantile per “cemetery”, la storia ruota attorno a un cimitero indiano. E c’è una strada percorsa da giganteschi camion, i bambini non si avvertono mai abbastanza di stare attenti quando attraversano. Distratto anche il gatto, che è la prima vittima e viene seppellito nel cimitero degli animali (senza dire ai bambini che è morto). Dopo un po’ ritorna, puzzolente e sporco di terra. Ma vivo, o qualcosa che gli somiglia. Stephen King aveva pur nell’orrore la mano leggera, qui i registi ci vanno pesantissimi. Come se fosse una qualunque storiaccia, scritta da un dilettante che senza logica e senza drammaturgia fa sbucare mostri orribili quando gli pare. E’ il secondo tentativo, c’era già stato nel 1989 “Cimitero vivente”, e forse converrebbe piantarla lì.

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