A SPASSO CON BOB

Mariarosa Mancuso

Sono io a giocare con il mio gatto o è il mio gatto a giocare con me?”. Lo chiedeva Michel de Montaigne, scrittore e lettore parecchio versato sulle cose che contano (inventore dei blog, sostiene qualcuno, ma quella perfetta miscela di fatti propri e grandi letture è riuscita a pochissimi, dopo di lui). Di sicuro, fu il gatto Bob ad adottare lo sfigatissimo musicista di strada James Bowen, non viceversa. Nel 1997, il giovanotto – già con una pesante storia di rifiuti familiari, ciclotimia, disturbi dell’attenzione, sostanze varie – suona la chitarra dalle parti di Covent Garden. Nel cappello gli lasciano tramezzini avanzati, dorme nelle macchine lasciate aperte, si fa di eroina (dopo l’overdose, lo porta all’ospedale il proprietario della macchina, nel frattempo multata dall’inflessibile vigilessa nera e grassa). Il gatto Bob (un marmalade cat, anzi molti, come usa al cinema) ha avuto la vista lunga. Dal 2010 a oggi assieme a James Bowen ha venduto cinque milioni di copie, diventando miliardario e salvando la vita al musicista adottivo (ora si occupa di homeless, umani e a quattro zampe, che commuovono di più). “A Street Cat Named Bob” era il titolo originale: il riferimento al film con Marlon Brando “A Streetcar Named Desire” (“Un tram che si chiama desiderio”) era già stato piallato dall’editore italiano Sperling & Kupfer. La storia finisce bene, ma il gatto fu chiamato “Bob” perché James Bowen aveva visto “Twin Peaks” (dove “Bob” è il male fatto personaggio, l’amicizia non fu subito salvifica come appare nel film). Il musicista – “non mi hanno ancora scoperto”, confessa in un momento di lucidità – viene curato con il metadone e alloggiato in una stanzetta dell’assistenza sociale. Il gatto ha una zampa infetta e sembra non avere una casa dove stare. Dopo le cure, rifiuta di lasciare James e lo accompagna al lavoro, prendendo l’autobus e osservando i passanti (ora molto più generosi di monetine). Qualche filmato molto cliccato su You Tube portò i turisti a Covent Garden, per vedere il micio che si portava dietro il chitarrista. Senza peraltro amare la sua musica, lo si capisce da certi primi piani.

 

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