
STILL LIFE
Il racconto estemporaneo era la sua specialità”. Si chiude così un fantastico racconto di Saki (pseudonimo di Hector Hugh Munro, non è parente di Alice Munro neanche alla lontana, essendo morto nel 1916) intitolato “La finestra aperta”. Una quindicenne, con aria compunta, racconta all'ospite un tragico incidente di caccia, con mezza famiglia coinvolta. Quando i maschi tornano a casa con i cani e le prede, sbucando dalla nebbia, l'ospite crede che siano i fantasmi dei defunti e caccia un urlo. Sono invece il padrone di casa e i suoi figli, vivi e vegeti: l'incidente di caccia esiste solo nella fantasia della ragazzina Vera, specializzata - dice l'originale – in “Romance at short notice”. Un breve preavviso le basta per inventarsi storie avventurose. Esattamente quel che l'impiegato del comune John May fa in “Still Life”: fruga tra gli effetti personali di chi muore così solo che nessuno ne reclama il cadavere e compone un bel discorso per il funerale. Immagina per i suoi assistiti una vita piena di amicizie, interessi, ricordi teneri, festività celebrate in allegria. Aggiunge le musiche adatte, pronuncia l'orazione funebre, segue la salma al cimitero. Poi torna a casa sua, dove vive solo. Apparecchia, mangia, al mattino dopo torna in ufficio per occuparsi di una nuova pratica: se va bene, c'è un parente da rintracciare. “Still Life” dimostra che le storie non sono mai tristi, se raccontate bene. Alla mostra di Venezia – dove il film ha vinto il premio per la regia, nel concorso Orizzonti - scattò immediatamente il passaparola (e visto che siamo in tema di commozione e lucciconi, preferiamo questo film allo strappalacrime “Philomena” di Stephen Frears, nelle sale la prossima settimana, con Judi Dench già candidata ai Golden Globe come migliore attrice). Eddie Marsan ha la parte dell'impiegato che si appassiona all'ultimo caso, ha appena saputo che lo vogliono tagliare come un ramo secco. Gli tocca un ubriacone dalla vita complicata. Il regista e sceneggiatore Uberto Pasolini, già campione d'incassi con i disoccupati spogliarellisti di “The Full Monty” (nonché produttore, altri alla sola idea sarebbero fuggiti), sbaglia purtroppo il finale. Ma il resto è perfetto. Eddie Marsan non si riconosce perché di solito ha la barba. Johanne Froggatt non si riconosce perché di solito la vediamo con il grembiule e la cuffietta della capocameriera Anna in “Downton Abbey”.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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