L'ARTE DELLA FELICITA'

Mariarosa Mancuso

    Dispiace che nei dibattiti sul cinema italiano – vedi alla voce, o forse bisognerebbe dire i tag: rinascita, trionfo ai festival, prevalenza dei generi, professionalità, coraggio nell'uscire dal banale, registi notevoli – nessuno citi mai “L'arte della felicità” di Alessandro Rak. Era a Venezia, sezione Settimana della Critica. Se avesse avuto anche solo un decimo del battage e del passaparola scattati in occasione di “La ragazza del lago” (Andrea Molaioli regista, Toni Servillo attore sopra le righe, un innamoramento collettivo che toccherà ai posteri svelare) ora sapreste tutto del film, del regista, della Mad Entertainment e dei suoi studi di Napoli, del produttore e sceneggiatore Luciano Stella. Invece dobbiamo dirvi tutto noi, ed è un vero piacere: da anni cercavamo una pellicola italiana per cui fare il tifo. Trattasi di animazione, va detto subito. Se ancora siete convinti che Elio Germano o Filippo Timi (diretti da Giovanni Veronesi o da Mirko Locatelli, lo sappiamo che non è colpa degli attori, ma anche loro ogni tanto potrebbero rivedersi e trovarsi un po' ridicoli) siano per principio meglio di un tassista ben disegnato, ben colorato, ben animato e con una storia da raccontare, non riusciremo facilmente a farvi cambiare idea (il guaio è che voi lo pensate e lo teorizzate, poi però i film con gli attori italiani non li andate a vedere). Se non avete questi pregiudizi, sappiate che la storia è molto bella (come quasi mai accade nei film italiani) e che l'animazione non sfigura davanti a pellicole con budget ben più alti. A Napoli piove, la spazzatura trabocca dai cassonetti, un piccione sorvola la città dall'alto. Grado di difficoltà altissimo. La città l'abbiamo vista un miliardo di volte, nei suoi scorci suggestivi o monnezzari, trovare un punto di vista originale non era facile. La pioggia, a disegnarla, non è facile come innaffiare il set con un idrante. Stacco dal piccione vero a un passerotto di legno nella stanza dei giocattoli. Flashback su due fratelli: da piccoli il maggiore strapazza il minore, da grandi suoneranno insieme. Scena dopo scena, cambiano i colori e lo stile dei disegni: tratto di matita, superfici psichedeliche, tutte le sfumature del blu. Un fratello parte per l'India e l'altro non vuole scendere dal taxi, a costo di addormentarsi sul volante e sembrare un morto di camorra. Bellissima colonna sonora di Antonio Fresa e Luigi Scialdone.