L'ARTE DI VINCERE

Mariarosa Mancuso

    Parliamo di Jonah Hill, lo merita più del film. Era il figlio bamboccione di Marisa Tomei in “Cryrus”, scritto e girato dai fratelli Jay e Dark Duplass (fanno incontrare la coppia destinata a innamorarsi quando lui per troppa birra fa pipì nei cespugli dietro casa, e lei commenta “bell'uccello”: i cinepanettonari ne hanno da imparare). Nerd con uso di sintetizzatore e ampia camicia a scacchi perché le maniglie dell'amore già ci sono – mai utilizzate, però – dalla sua cameretta spia gli amori della mamma. Per mandarli a monte, per mettersi di mezzo, per gettare sospetti sull'intruso, che alla fine rimpiange le notti in cui la morosa scappava all'alba. In “L'arte di vincere”, Jonah Hill è un nerd con uso di statistiche. Ramo: baseball. Sottospecie: le caratteristiche e le specialità dei giocatori (esiste, e si chiama “sabermetrics”). Perché non tutti sanno far tutto, ma in una squadra serve di tutto: tanti mediocri ben assortiti, se una squadra non ha soldi, valgono un campione. Per trovarli servono i numeri, non gli scout: i vecchi allenatori in cerca di nuovi talenti spesso sbagliano, lasciandosi sviare dai pregiudizi (“ha appena lasciato la fidanzata, in campo sarà nervoso”). Questo abbiamo capito, ignari di baseball come siamo: provammo a leggere in originale “Underworld” di Don DeLillo, e il primo capitolo allo stadio ci fece penare, tutte le parole sconosciute avevano a che fare con il gioco. Vien da dire: “Una trama così funziona neanche se la fanno scrivere a quel genio di Aaron Sorkin”. E' andata esattamente così. La sceneggiatura di Steven Zaillian giaceva da un bel po' nei cassetti: l'idea di una squadra squattrinata e malmessa che lavorando di statistiche vince venti partite di fila piace sempre, non soltanto a Hollywood. Meglio se la storia è vera, capitata nel 2001 agli Oakland Atlhetics e al suo capitano Billy Beane (la racconta Michael Lewis nel libro “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game”). Sorkin ha riscritto il copione da cima a fondo, anche se per le regole sindacali è costretto a spartire i crediti, cosa che lo manda su tutte le furie. Ma il miracolo dei dialoghi di “The Social Network”, tecnici e appassionanti, non si ripete. Brad Pitt eterno perdente (colpa di uno scout che sbagliò mira) fa benissimo da spalla a Jonah Hill.